domenica 29 dicembre 2013

Musica - Il sax di Enzo Avitabile

Il sassofonista partenopeo si confessa fino in fondo -                               visione post - 236
Col sassofono è partito da Scampia "dove ringraziavo
Dio di abitare nelle case popolari". James Brown gli
ha regalato le sue scarpe, Tina Turner lo ha iniziato
al buddismo, Carlos Santana all'induismo: "Ora il
suono nasce dentro di me come fosse un mantra".
E il premio Oscar Jonathan Demme gli ha dedicato
un documentario - "Dice che sono l'erede di Lennon"

(da la Repubblica - 4 agosto 2013 - LA DOMENICA /
di Marino Niola /  L'incontro - Mistici)
Napoli -
"Mi guarda con quegli occhi fiammeggianti da pre- 
dicatore rhythm&blues e mi punta il dito: 'Ragazzo,
tu stai fissando le mie scarpe.   Sicuramente ti piac-
ciono'. Ero allucinato.  Volevo dire sì, ma non riusci-
vo nemmeno a parlare. Allora James Brown chiama 
la sua stiratrice storica, quella  che  lo accompagna-
va sempre in tournée e le dice 'incartagliele e dona-
gliele'.  Erano bellissime, di vernice nera con la pa-
rola Soul scritta in bianco. A furia di portarle le ho
demolite. E' rimasta solo la scritta. Avevo pensato 
di incollarla su un altro paio, ma sarebbe stato  un
pò esagerato".
Enzo Avitabile

Enzo Avitabile mi spia e sorride. Sa di avermi colpito 
al cuore col racconto del suo primo incontro con Mr.
Dynamite, che lo aveva  scelto  come supporter, ma
non lo aveva mai voluto ricevere. "Quella sera però
a Pordenone  il concerto  cominciò  in ritardo  per il 
maltempo e fu costretto a sentirmi suonare. Finito lo 
spettacolo  il padrino del soul  disse  a quelli del suo
staff. 'Bring me the baby with the saxophone', porta-
temi qui il bambino col sax.     Io non ero proprio un
bambino, ma visto da un gigante come lui, quella di-
stanza ci stava tutta.  Quella serata ha cambiato la
mia vita. Lui iniziò con frasi come "il tuo cuore è il
mio cuore, e il mio cuore è il tuo cuore" e fin qui è
roba da Baci Perugina.   Ma poi improvvisamente
mi disse "sei bravo, ma adesso torna a casa e ri-
comincia dalla tua terra" E mentre ero sulla porta
ha aggiunto "però ricordati che io sono l'uomo più
veloce  del mondo. Più veloce di me c'è solo Dio".
Una frase sibillina, per anni  mi sono chiesto  che
coas volesse dire. In realtà era un invito ad anda-
re avanti, a fare la mia corsa. E così ho fatto. So-
no tornato a Marianella, che oggi si chiama Scam-
pia, perchè è lì che il mio immaginario musicale è
nato. Tra i responsori devozionali di sant'Alfonso
de'Liguori e il jukebox del bar. Ce n'era uno solo
in tutto il quartiere e io mi ubriacavo di quella mu-
sica e cercavo di rifarla. Tina Turner, Carlos San-
tana, Randy Crawford, John McLaughlin, Afrika
Bambaataa. Quella lingua che non capivo mi era
diventata più famigliare del napoletano".
Per l'esibizione di Enzo Avitabile a Webnotte non poteva mancare la storica "Soul Express" del 1986 ...
27 feb 2018 · Caricato da 

Neanche io da ragazzino sapevo una parola di
inglese, eppure parlavo la lingua di Little Ri-
chard e cantavo Long Tall Sally, Tutti Frutti,
Jenny Jenny.  La musica che ascoltavo da un
jukebox  di piazza Carlo III  a Napoli, in un bar
pieno di ragazzi che ballavano da soli. "Proprio
come a Marianella, , solo coppie di uomini. Al-
lora la tradizione popolare  non m'interessava 
e al conservatorio studiavo composizione. Tut-
ta un'altra musica.    La verità è che dopo l'in-
contro con James Brown  ho cominciato  a ri-
pensare il mio rapporto con il dialetto. A viverlo
musicalmente. Mi chiedevo: ma perchè in napo-
letano non posso scrivere Vivono sott'a terra a 
Bucarest, perchè si può solo dire A Marechia-
ro ce sta na fenesta?".
Anche la più gloriosa delle tradizioni può diventare
una gabbia.  Una specie di lingua morta, una melo-
dia, una melodia postuma. Invece quando in Black
Tarantella - Premio Tenco 2012 - canti A Maronna
cumparette in Africa con David Crosby, o Gerardo 
nuvola 'e povere con Francesco Guccini che contro-
canta in modenese, si capisce che hai compiuto una
discesa nel cuore della lingua e hai fatto scintillare
il fuoco sacro dell'ethnos  che spesso viene ovatta-
to dall'oleografia canora della piccola borghesia.

'LA MIA MUSICA ESPLORA I CANALI
MISTERIOSI DELLA PREGHIERA  TRA
SANT'ALFONSO de' LIGUORI E CANZONI
DA JUKEBOX'

"E qui è stato decisivo l'incontro con Andrea 
Aragosa, il mio amico, produttore e manager,
Mi ha sempre spinto a fare ricerca. A risco-
prire quanta modernità ci fosse in una salmo-
dia religiosa, in quei rosari che le donne into.
navano come dei mantra.  In quelle botti per-
cosse con le falci dai bottari di Portico di Ca-
serta che facevano rivivere il ritmo orgiastico
dei coribanti - i sacerdoti della  grande madre 
Cibele - lo tiravano letteralmente  fuori  dalle 
profondità del tempo.  -  Ma forse senza Tina
Turner non avrei capito fino in fondo l'impor-
tanza di questa ricerca, che è prima  di tutto
interiore".
E' stata lei a farti avvertire il suono del silenzio?
"Sì, perchè Tina mi ha convertito al buddismo.
La prima volta che l'ho incontrata fu nel 1983 a
Riva del Garda, dove lei era ospite della Emi e
io ero lì per ricevere la Vela d'oro per  Meglio
Soul, il mio primo disco. Si andava in onda su 
Rai Uno.  -   Dopo l'esibizione di Tina lo stato
maggiore della casa discografica la accompa-
gnò al ristorante. Lei notò che a tavola c'era
un posto vuoto. Ledissero che un loro artista
emergente  stava per ricevere  un premio  e 
poi li avrebbe  raggiunti  più tardi.  Al che la
regina del R&B, da gran signora qual è, dis-
se £allora lo  aspettiamo  e  cominceremo a 
mangiare tutti insieme". A quel punto si al-
zarono in cinque per venirmi a prendere. E
poi volle che mi sedessi accanto a lei. Dopo
aver parlato tutta la sera mi rivelò di essere
diventata buddista.  E mi convinse a iniziare 
questo percorso con lei. Fino ad allora avevo
sempre sperimentato il suono, ma mai il silen-
zio. Mi sono reso conto che il silenzio si espan-
deva e si sviluppava dentro di me come un man-
tra. Anche più della musica". 
Il silenzio di Enzo Avitabile è quello che un poeta 
come Leopardi chiama profondissima quiete, quel
bagliore di infinito che dorme dimenticato in ciascu-
no di noi. - E adesso sei ancora buddista?
"No, ho avuto anche una fase induista e i miei inizia-
tori sono stati Carlos Santana e sua moglie, con John
McLauglin e il guru Sri Chinmoy , che hanno allargato 
i confini della mia mente  e  l'hanno aperta alla medi-
tazione del cuore".  - Molti pezzi assomigliano a pre-
ghiere mantriche. "Io credo molto in un rapporto tra
me e l'energia universale, puoi chiamarla karma, puoi
chiamarla samadhi.  Adesso  mi definisco  un cristiano
in cammino, a messa non ci vado, ma  credo  molto 
nella preghiera come azione.   In questo senso non 
vedo differenza tra il buddismo di Nichiren Daishonin
e l'orazione collettiva di sant'Alfonso de' Liguori, che 
usava l'Ave Maria come un mantra. E la mia musica
esplora questi canali misteriosi".-  Improvvisamente
Enzo si mette a rappeggiare il rosario. Io resto basi-
to e lui sembra posseduto dallo spirito di Sant'Alfonso.
Forse non è un caso che fosse anche lui di Marianella.
Mi sarei aspettato che James Brown gli avesse rivela-
to i segreti del soul, Tina Turner gli avesse insegnato
a modulare il grido, Afrika Bambaataa a rappeggiare.
Invece sono stati i maestri di vita.    "La loro musica
già me l'avevano trasmessa  attraverso la scatola, il 
jukebox.  Quando incontri quelli che hai scelto come
maestri da loro prendi dell'altro.   Non l'abbicì. Non 
fai lezione di musica, ma impari come far nascere il 
suono dentro di te"
Se in Italia è ancora conosciuto , per lo più, come 
quello che suonava con Pino Daniele ed Edoardo 
Bennato, negli Stati Uniti  Jonathan Demme, il re-
gista da Oscar del Silenzio degli innocenti e Phi-
ladelphia, ha celebrato  Avitabile  in uno dei suoi 
mitici documentari rock.

Lucianone

Sport / Storia - L'epopea di Sara Simeoni

GRANDE                                 visione post - 110
MAESTRA  SARA

 Saltava sulla sabbia, si faceva male alla schiena,                    
 mangiava cioccolata per premio.   Eppure le più 
 grandi saltatrici, come Chicherova e Shkolina, 
 e il recordman Sotomayor ammettono di essersi
 ispirati alla veneta.

(da 'Repubblica Sport' - 25/11/2013 - Emanuela Audisio, Montecarlo)
In volo con Sara e le sue sorelle. Tutte lassù, sopra i
due metri, nel club più vertiginoso del mondo. Quello 
dove devi salire e superare i cancelli del cielo.    Per 
la prima volta tre regine del salto in alto insieme, a 
guardarsi in faccia, a confessarsi paure e certezze, 
a chiedere: ma tu come facevi?   Tre padrone del-
l'aria: Anna Chicherova, russa,  2,07,  Svetlana
Shkolina, russa,  2,03,  Sara Simeoni, italiana, 2,01,  
nel '78, record che nel mondo è durato 4 stagioni.
Generazioni a confronto, madre e figlie. Sara vinse
a Mosca nell' 80, Jurassic Jump, le altre non erano
ancora nate. 
Chicherova è dell' 82, Shkolina dell' 86. Fenicotteri
esili, creature da Modigliani. Anna è alta 1,80, Sve-
tlana 1,87, Sara con i,77 è la più bassa. Tutte con lo 
stesso stile di  Fosbury. E con la Simeoni come apri-
pista. Ma la Chicherova racconta che quando iniziò
a saltare  andò  dal  cubano  Sotomayor, primatista 
mondiale con 2,45 e gli chiese: come faccio ad impa-
rare? Javier le rispose: fai come me, guarda questi
fotogrammi e copia. I fotogrammi erano quelli della
maestra Sara Simeoni che forse dovrebbe chiedere
il copyright.  E che ora spiega: "Dal ventrale passai
al Fosbury, che prometteva di più, ma ora posso con-
fessarlo: pensai di smettere. C'era ancora la sabbia
nella buca e cadere di schiena faceva malissimo, l'a-
sticella d'alluminio triangolare lasciava lividi pazze-
schi. Urlavi di dolore ad ogni sbaglio  e  la sera eri
piena di botte. Beate voi, ragazze mie, che avete i 
sacconi in gommapiuma. Io ero criticata per il mio
stile disordinato, allargavo troppo il braccio, lo fa- 
cevo  per paura, per limitare i danni, fino  a  1,85
riuscivo a non essere scomposta, poi me ne sbat-
tevo.  L'importante era staccare bene e salire".

Sara chiede ad Anna, che è madre di Nika: quanto 
pesi? L'altra: "56,300 kg. Se salti, devi perdere chili,
essere molto al limite, basta qualche etto in più e a 
me iniziano a fare male caviglie e schiena".
Commento di Sara: "Accidenti se sei magra.  Io ho
gareggiato per venti stagioni, da 13 a 33 anni. Sesta
ai Giochi di Monaco con i,85, seconda a Montreal
con 1,91, oro a Mosca con 1,97, argento a Los An-
geles con 2 metri. Alla mia prima Olimpiade pesa
vo 69 chili e all'ultima appena 57. Avevo il tendine
gonfio e lo stomaco chiuso, non riuscivo a manda-
re giù niente. Ma ero e sono una ghiottona. E mio
papà per forzarmi a fare risultato in allenamento
si presentava con una scatola di cioccolatini e mi
diceva: uno per ogni centimetro in più. Io proprio
non riuscivo a motivarmi: in gara mi scatenavo,
ma nel lavoro quotidiano non avevo spinta. Non ho
mai saltato in allenamento più di 1,77,  tanto che il
giorno che ho scavalcato 1,95 ho capito che qualco- 
sa era cambiato. Non avevo come hanno oggi mez-
zi sofisticati per il training, ci arrangiavamo con la 
cintura  zavorrata  piena di sabbia, la scarpetta di 
ferro e altre diavolerie. 
Voi avete questo vantaggio: più competizioni, più
concorrenza, più sfide, ognuna può spingere l'altra.
E' bello trovare sempre più stimoli. Li avessi avuti 
io, avrei potuto salire di altri due centimetri, a 2,03.   
Era una misura alla mia portata. Invece ero sola in
un'epoca in cui  gli avversari ci vedevano come ne-
mici. Noi con la vecchia Ddr o Urss, appena ci sfio-
ravamo in gara, ricordo che  agli europei del'78  ci
dissero che la Germania Est era nella nostra stes-
sa palazzina, qualche piano sopra di noi, ma io non
ho mai incontrato nessuno. Con Rosemarie Acker-
mann ci scambiavamo gli auguri, tutto qui. Quandoanagrafe
Primo Nebiolo nel '78 ci portò in Cina, prima dele-
gazione sportiva italiana, all'aeroporto ci accolse-
ro in una stanzetta con il tè, alle pareti Mao e Marx.
Ma fu un'esperienza meravigliosa in un mondo sco-
nosciuto, oggi che tutti sanno e vedono i risultati de.
gli avversari in tempo reale sul computer e non san-
no cosa sia il mistero".

Non cambiano gli attacchi di panico davanti al salto
nel vuoto nello stadio pieno.   Le paure  non  hanno 
anagrafe. Svetlana Shkolina, bionda, gambe da mo-
della, campionessa mondiale a Mosca: Nella came-
ra di chiamata ho avuto una brutta sensazione: non
capivo chi fossi e perchè ero lì. Ero nrvosissima, io
sono timida e la mia famiglia era allo stadio. Non mi
ricordavo più i movimenti, cosa dovessi fare, ero ter-
rorizzata, poi mi sono venute in mente le parole del
mio allenatore: rilassati, e fai quello che sai fare. A
2,03 ho ritrovato l'energia e la fiducia, ma giuro che 
non mi ricordo  niente  di quel  salto d'oro, solo che 
l'asticella era ancora lì".  
Anche Sara ai Giochi di Mosca nell'80, con Erminio
Azzaro, suo fidanzato e allenatore, seduto in curva,
a fumare sigarette e a masticare nervosismo, andò
in confusione.  Lui era severissimo  e  i due spesso
bisticcisvsno. Sara continua: "Entrai nello stadio e
all'annuncio  del mio nome  mi prese  un groppo in 
gola tremendo. Ci si può emozionare e non capire
più niente. A me capitò.  Non ci stavo  più  con la
testa, misurai i passi in maniera sbagliata. Cos'è
che non andava? Ad un certo punto sento la voce
stizzita  di Erminio  che mi urla:  dai, svegliati, la
rincorsa è dall'altra parte.  Ah, ecco perchè non
funzionava".
L'incontro delle tre regine del volo  organizzato  dalla Iaaf
finisce con la pioniera Simeoni , la prima con 2,01 ad an-
dare sulla luna, che si prende il rispetto  e  l'ammirazione
delle altre due.   ."Ci ha insegnato uno stile, indicato una
strada, ma soprattutto tre medaglie in tre Giochi conse-
cutivi significano costanza e voglia di durare".
Certe orbite non smettono mai di girare.

Lucianone

venerdì 20 settembre 2013

Cultura - Lo scrittore inglese John le Carrè, re della spy-story

20 settembre 2013                                                              visione post - 16

Un John le Carrè ormai ipercritico
contro ragion di stato e intelligence:
"Dov'è il confine tra amor patrio e tradimento? Si può
avere una giustizia senza regole?"   

(da 'ilVenerdì di Repubblica - 30/08/2013 - di Irene Bignardi)
Londra. E' il 1986. Esce La spia perfetta di John le Carrè.
E il 17 novembre, David Cornwell, lo scrittore che si nascon-
de dietro  la maschera letteraria  di John le Carrè, l'autore di
La spia che venne dal freddo, La talpa, La tamburina,
entra al Quirinale assieme a GeorgeSmiley e a Bill Haydon,
a Karla e a Alec Leamas, a cugini e calzolai, a talpe e lam-
pionai, insomma a tutto il mondo fittizio, ma non tanto, dello
spionaggio britannico così come l'ha raccontato lui, il re del-
la spy story, invitato a pranzo con gesto eccentrico dall'allo-
ra presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
E', 'La spia perfetta', undicesimo romanzo di Le Carrè, il
suo più personale.  Si sente, dietro la finzione, l'autobiogra-
fia. Si avverte, dietro la figura del padre indegno di Magnus
Pym, la figura di Ronnie, il vero  padre  di David Cornwell,
fascinoso  imbroglione  e truffatore, sempre dentro e fuori
dalle imperiali galere, sempre pronto a ricominciare, abban-
donando qua e là, in eleganti scuole di cui non paga la retta,
la sua prole. Si sente la stanchezza di chi ha lavorato tutta la
vita sulla complessità morale del mondo ambiguo dei servizi
segreti. E, intervistato all'epoca, John le Carrè (ma è David
Cornwell, fascinoso, pacato, articolato, a parlare),  che ha
per il momento abbandonato il suo personaggio centrale, il
grigio e ligio George Smiley, grand commis  dei servisi  se-
greti britannici, annuncia: sta diventando "più radicale", "più
libero spiritualmente"; ha "cominciato a nutrire un certo di-
sprezzo per Smiley e la sua capacità di abbandonare molto
spesso la propria coscienza per fare le cose sporche che è
necessario fare". Smiley che diceva "facciamo cose spiace-
voli, ma per difenderci e le facciamo perchè la gente qui e
altrove possa dormire tranquilla nel suo letto". Smiley che
sosteneva: "Ognuno di noi  ha solo  una certa quantità  di
compassione. Sela sprechiamo su ogni gatto randagio non
arriveremo mai al centro delle cose".
Allora Cornwell / Le Carrè aveva cominciato a chiedersi:
"Che differenza c'è tra abbandonare di quando in quando
la morale e non averne affatto? E dove corre la linea sottile
che separa lealtà e tradimento? Equanto lontano possiamo
andare nella giusta difesa dei nostri valori occidentali senza
perderli lungo la strada? E così io e Smiley abbiamo comin-
ciato a litigare".    
Quasi trent'anni e 12 libri dopo, questo - della morale ab-
bandonata, della contrapposizione  tra  un'etica pubblica
adattabile e un'etica personale da rispettare, del dramma
che esplode quando gli uomini d'onore  capiscono che il
patriottismo o  la lealtà  al proprio Paese  sta prendendo
una forma diversa da quella insegnata a loro dallo Stato,
che stanno diventando i servi sciocchi degli interessi del-
le potentissime multinazionali - è il tema centrale di A Deli-
cate Truth, Una verità delicata, il nuovo romanzo di John
Le Carrè che ora arriva in Italia.
 E che appunto, sotto la cornice romanzesca e la suspense
del thriller politico, sotto la cronaca di un blitz segreto con-
dotto a Gibilterra da agenti e mercenari britannici e ameri-
cani per catturare un pericoloso terrorista, ma a prezzo del-
la morte di due innocenti, sotto la storia, dice Le Carrè, "di
due persone per bene che scoprono come la loro personale
moralità sia in opposizione alla supposta etica dello Stato,
a rischio della loro vita ", ripropone l'interrogativo che ha tor-
mentato lo scrittore per tutti questi anni.   Anni nei quali ha
visto dissolversi sotto l'urto della storia le certezze del con-
fronto Est/Ovest, degli schieramenti della guerra fredda, del
mondo ben delimitato di un Occidente democratico contrap-
posto a un mondo  "altro"  senza regole, del right or wrong
my country  
Dove sta il confine tra patriottismo e tradimento?  E' giusto
che esista na sorta di morale parallela valida solo per chi ci
governa? Che chi ci governa  possa esercitare una giustizia
fori dalle regole  r dai controlli, in una guerra non dichiarata,
,ma combattuta a colpi di legale illegalità?  E, per dirla con
le parole  di Le Carrè, che ha visto uscire  il suo libro  con
tempistica casuale , ma perfetta, proprio nei giorni del caso
Snowden, non è forse giusto "decidere che i whistleblower,
gli informatori che  denunciano  le verità segrete, sono una
voce essenziale in ogni democrazia? Nel mio libro due fun-
zionari leaqli e patriotici, uno più vecchio  ormai in pensio-
ne promosso a baronetto  per cementare la sua lealtà allo
status quo, l'altro giovane, promettente  uomo  politico, ..
decidono autonomamente, che il loro paese è servito me-
glio se dicono la verità su ciò che di sbaglaito è stato fatto..
E' la stessa cosa che ha deciso di fare Snowden. E sì, pen-
so che in questa stagione di manipolazione delle notizie, di
bugie ben organizzate, di verità artefatte, i whistleblower
sono una voce essenziale in ogni democrazia.


CONTINUA... to be continued...

Cinema / jazz - "Mood Indigo" di Michel Gondry

20 settembre 2013

Il sogno surreale di Gondry
'Grazie a Ellington e McCartney'
"Mood Indigo" è il nuovo visionario film del regista 
francese di "Se mi lasci ti cancello", uscito nelle sale
il 12 settembre e interpretato da Audrey Tatou e Romain
Duris. Il film di Gondry è tratto da un romanzo di Vian.

(da la Repubblica / R2Spettacoli - 11/09/2013 - di Gianni Valentino)
"L'esistenzialismo è uno shampoo".    Così recita una
battuta di Mood Indigo, il nuovo film di Michel Gondry,
regista/star del video (ha diretto clip per DaftPunk, Ra-
diohead, Bjork, Rolling Stones, Massive Attack) e pre-
mio Oscar  per la sceneggiatura  di Se mi lasci ti can-
cello. Il nuovo lavoro esce domani (12 sett. ndr) in 80
sale italiane.
La storia, tratta dal romanzo ";La schiuma dei giorni"
di Boris Vian (1947), racconta, tra animazioni e follie
estetiche, dell'amore allegrissimo, generoso  e dispe-
rato tra Chloè ( Audrey Tautou)  e  Colin (Romain Du-
ris) al ritmo di Duke Ellington.      
L'omonima Mood Indigo (così come Take the train e 
Chloè) è del compositore e jazzista Usa, anche se la 
colonna sonora  è  ricchissima, tra canzoni, esperi-
menti elettronici  e  l'apparizione  di Paul McCartney.
Intervista di G. Valentino -
Gondry, questa è una favola dark  e strampalata, un
labirinto emotivo  in cui  due innamorati - attraverso 
scene a colori e in bianco e nero - prima s'incontrano 
e dopo si perdono perchè arriva la morte. Quanto c'è 
di autobiografico nella storia?
Gondry: "Dieci anni fa ho quasi perduto la mia compa-
gna a causa della leucemia. E' stata una sfisa terribile,
emotivamente impegnativa, ma alla fine lei si è salvata.
CONTINUA...
to be continued...



mercoledì 28 agosto 2013

Cultura - Lo scrittore americano Patrick McGrath

28 agosto 2013                                                                       
visioni post - 18

Tratto da una parte della lectio magistralis  che
McGrath ha tenuto al Palazzo Medici Riccardi
di Firenze per il Festival degli scrittori Premio
Gregor von Rezzori - Città di Firenze
nel giugno 2013.
Riflessioni sulla follia
McGrath: "Nella schizofrenia 
il segreto della letteratura"
Lo scrittore racconta come è nata la vocazione 
a mettere il disagio mentale al centro della sua opera.

(da la Repubblica / R2Cultura - 12/06/2013 ) 
ELOGIO DELLA FOLLIA
di 
Patrick McGrath
Uno psichiatra  mi ha iniziato  alle  riflessioni  sulla
follia quando avevo otto anni. Era mio padre. Per 25
anni è stato direttore del Broadmoor, un ospedale
psichiatrico di massima sicurezza vicino a Londra.
Non ho mai sofferto di schizofrenia, ma da ragaz-
zino ho imparato da lui molte cose su questa ma-
lattia. Dico "malattia". Oggi si pensa che la schi-
frenia sia un insieme di sintomi collegati fra loro,
più che una singola patologia: una sindrome, non
una malattia. Un tempo si credeva che comportas-
se una personalità divisa, ma mio padre mi spiegò
che più esattamente lo schizofrenico era caratteriz-
zato da una personalità frantumata. Potrebbe essere
stata quella conversazione, o una simile, a mettermi
sulla strada per scrivere la follia.
Ricordo  che una volta, da giovane, ero con lui al
crepuscolo, attraversavamo  un cortile all'interno
delle mura di Broadmoor.   Un grido giunse  dalle
finestre in alto del Blocco Sei. Lì andavano i nuo- 
vi arrivati, uomini che per la maggior parte, in pre-
da alla psicosi, avevano commesso atti  di grande
violenza, spesso omicidi.  Ma non era un grido di 
demenza furiosa quello che sentii quella sera: era
un grido che esprimeva la più profonda infelicità.
"Povero John", disse mio padre, e io capii che lui
capiva la sofferenza del suo paziente, e il fatto che
capisse privava il grido del suo carattere spaven-
toso. Per poter scrivere la follia bisogna prima ri-
conoscere  l'umanità  di chi soffre, e poi stabilire
perchè soffre.
      Patrick McGrath
Le mie prime letture sono state in gran parte
racconti horror.  Divoravo i libri  di  Algernon
Blackwood, M. R. James e Sheridan Le Fanu,
e più tardi quelli  di Ambrose Bierce  e  Edgar
Allan Poe, che svilupparono in me un gusto du-
raturo per la letteratura gotica.
In seguito giunsi alla conclusione che con Poe 
si ebbe nella storia del gotico  un momento di 
svolta, quando il genere largamente identifica-
to con i fenomeni soprannaturali si rivole slle
disfunzioni psicologiche e scoprì nella mente
che si disintegra un  filone d'oro nero.   Con  
Poe, infatti, la dote e la funzione particolare
della narrativa gotica divenne l'esposizione
dei meccanismi inconsci.  Un mondo di incu-
bi  e fantasmi, di sublimazione, regressione 
e spaesamento, di Doppelgànger e altri mo-
stri dell'Id fu  abbondantemente  esplorato
più di un secolo prima che Freud organizzas-
se il materiale in base a una teoria e scrivesse
la follia dall'interno di un paradigma scientifico. 
La teoria  psicoanalitica  e i case studies che la 
puntellano sono la continuazione del romanzo 
gotico con altri mezzi.

















Edgar Allan Poe

Nei suoi racconti horror Poe offrì al mondo una bella
collezione di nevrotici, paranoici e psicopatici.  Penso
in particolare ai narratori dementi del Cuore rivelatore
e del Gatto nero, e anche a Roderick Usher e a William
Wilson.  Ma non credo che nessuno dei personaggi di 
Poe sia spaventosamente pazzo quanto Montresor, co-
lui che narra La botte di Amontillado. Il resoconto, da
parte di Montresor, della sua esacerbata amicizia  con
un uomo di nome Fortunato incomincia, nella prima
frase del testo, con una minaccia. "Le mille offese di
Fortunato le avevo sopportate  come meglio  potevo,
ma quando arrivò all'insulto giurai di vendicarmi".
Che ricchezza patologica rivelano queste parole! -
giacchè ben presto appare chiaramente che le 'mille
offese' di cui parla Montresor sono per lui meno gra-
vi dell' "insulto" che dichiara di aver subito.
Che cosa sono dunque queste mille offese? Sono gesti
di disprezzo? Allusioni, magari, accenni e sussurri?
Man mano che  il racconto si dipana, con crescente
disagio incominciamo a capire che è a causa di que-
sto disprezzo, e dell'insulto  che  ne consegue, che
Montresor ha murato l'amico  nelle cantine di un
palazzo veneziano in rovina e l'ha lasciato lì a mo-
rire.     Questo è uno scrivere la follia di altissimo 
livello. -  E' anche uno dei primi buoni esempi di
narratore inattendibile.   Dopo averci introdotto
nella paranoia di Montresor con quella prima frase, 
poe non ci lascia più scampo. Come il povero Fortu-
nato, anche noi  siamo rinchiusi  in  una  struttura 
soffocante da cui solo la morte - o la fine del raccon-
to - può liberarci. <fino a quel momento, siamo pri-
gionieri  di una logica  perfetta, se non fosse che è
costruita su una promessa falsa, folle.
I miei esperimenti, nell'arte oscura di scrivere la
follia, incominciarono con un romanzo  che rie-
cheggiava alla lontana Poe. Voleva essere il sem-
plice racconto di un idraulico londinese che ucci-
de la moglie per potersi portare in casa l'amante,
una prostituta.     Ebbi l'idea di far raccontare la 
storia al figlio bambino dell'idraulico. Poi decisi
che il bambino  doveva  ricordare questi fatti  da
adulto, ma che la sua rievocazione non corrispon-
deva a ciò che era accaduto. Poi mi venne in men-
te che il mio narratore  non fosse  semplicemente
inaffidabile, ma psicotico. Soffriva di schizofrenia.

















Qui il problema di scrivere la follia mi si presentò
per la prima volta forte e chiaro. La narrativa d'in-
venzione e la psicosi  sono  entità che si escludono 
a vicenda. Il figlio del mio idraulico non possede-
va l'agghiacciante rigore intellettuale del Montre-
sor di Poe, ma era nondimeno malato, una creatu-
ra disorganizzata i cui pensieri saltavano di palo
in frasca  a seconda di ciò  che gli era intorno  e 
delle associazioni  apparentemente casuali  che
scattavano nella sua mente confusa. Sopranno-
minato "Spider" dalla madre (prima della morte
prematura di costei) il suo cervello  non  curato 
era un insieme incoerente di irrazionalità, allu-
cinazioni e illusioni sensoriali.
Immaginai che il mio personaggio, Spider, spro-
fondasse nella follia per tappe, e in conseguenza 
di un'ipotesi sbagliata. Immaginai che tornasse
nel quartiere orientale di Londra in cui era cre-
sciuto, un uomo sparuto, che parla da solo e che
nel suo  vagabondare solitario  si accorge che il 
suo sguardo  è attratto  in maniera irresistibile 
dall'incombente struttura circolare di un gaso-
metro, una vista non insolita  in  quella parte 
della città.

CONTINUA...
to be continued...

lunedì 12 agosto 2013

Musica - sezione jazz / La jazzista Melissa Aldana: ricorda John Coltrane

agosto 2013                                                                   Visioni post - 56

La sassofonista Melissa Aldana
ha qualcosa di Coltrane
Ha 24 anni, è cilena ed ha conquistato il figlio 
del mito (John Coltrane), che le ha donato un
microfono speciale

(da 'il venerdì di Repubblica' - 9 agosto 2013)
A parte  qualche  nobile  eccezione, vedi  Mary 
Lou Williams o Alice Coltrane, le figure femmini-
li nel jazz  non sono mai state numerose, sempre 
schiacciate tra il ruolo quasi obbligato  della can-
tante e la feroce competizione della scena maschile.
Da qualche anno a questa parte, però, complice an-
che l'inatteso exploit di Esperanza Spalding e quel-
lo  di  musiciste  come  Matana Roberts  o  Sharel 
Cassity, le quote rosa  nel jazz  sembrano  essere
(finalmente) in ascesa. "
La sassofonista cilena Melissa Aldana, ventiquattro 
anni e una carriera in rampa di lancio, appartiene de-
cisamente  a  questa tendenza e, dopo il debutto  sul 
palco a fianco di due colossi del genere come Randy
Brecker e Danilo Pérez, ha lasciato Santiago del Ci-
le, si è trasferita a New York e ha da poco pubblica-
to un nuovo album, Second Cycle.
"Non so quanto essere una donna mi abbia aiutato"
ammette la Aldana "ma di sicuro nel jazz, come in
nessun altro genere, conta solo la musica. L'aspet-
to esteriore non è una carta  che ti puoi  giocare a
lungo, bisogna sapere suonare". 
Decisamente ambiziosa, nel nuovo disco la sasso-
fonista sudamericana, che in passato  si è esibita
anche in Italia nel quartetto di Roberto Gatto, ol-
tre a rivelare l'influenza sul suo suono di maestri
come  Sonny Rollins  e  Charlie Parker, ha avuto
un incontro, seppur virtuale, con una leggenda co-
me John Coltrane. Il figlio del musicista Ravi, im-
pressionato dal suo fraseggio, ha infatti voluto re-
galarle uno dei microfoni che Coltrane utilizzò nel
1964 per incidere una pietra miliare come A Love
Supreme. Quasi un passaggio di consegne.






Lucianone

mercoledì 31 luglio 2013

CINEMA - Il regista americano Stanley Kubrick

luglio 2013 -                                    visioni post - 107        












Kubrick filming 'Barry Lyndon'


Stanley Kubrick  (1928 - 1999)
è considerato tra i maggiori registi
della storia del cinema
Nelle sale di tutta Italia "Paura e Desiderio" (29, 30
31 luglio '13), il primo film di Stanley Kubrick che
anticipa i  suoi futuri capolavori.

Quei soldati allo specchio  
di Kubrick il pacifista
(da "L'Eco di Bergamo" / Spettacoli - 28 luglio 2013 - Andrea Frambrosi)
Quando Kubrick non era ancora Kubrick. Alle origini
del mito, Kubrick ritorno al futuro.
Ognuno si scelga il titolo che preferisce per
festeggiare  l'arrivo nelle sale, solo il 29, 30 e 
31 luglio, di "Fear and Desire",  primo lungo-
metraggio del futuro genio del cinema mondiale
che viene distribuito  per la prima volta 14 anni 
dopo la morte del maestro.
"Fear and Desire" (Paura e desiderio, 1953) è il 
primo lungometraggio  -  dopo  tre  documentari 
("Flying Padre". "Day of the Fight" del 1951 e
 "The Seafarers" del 1953)  -  dell'allora 25enne
Kubrick.     Film che però, diventato successiva-
mente il regista di culto che tutti conosciamo, il 
suo autore ha immediatamente disconosciuto,
considerandolo "niente più di un esercizio da
amatore", dal risultato "noioso e pretenzioso".
Non di meno, dovrà essere sicuramente salutato
come un evento  l'uscita  di questa copia pratica-
mente inedita  completamente  restaurata in hd
dalla Library of Congress di Washington e dop-
piata per la prima volta in italiano.  Presentato 
in Italia  da  Qmi  e  Minerva Pictures, sul sito
www.kubrickalcinema.it  e www.qmi.it. oltre al-
l'elenco completo delle sale aderenti (nella ber-
gamasca Uci Curno, Ariston Treviglio  e  San 
Marco in città) è possibilevisualizzare il trailer
del film e acquistare il biglietto d'ingresso.
Con un semplice login, inoltre, tutti i fan potranno
scoprire, rispondendo ad alcune domande sulla vi-
ta e la carriera di Kubrick, quale personaggio dei
suoi film  meglio  li  rappresenta, per poi condivi-
derlo su facebook. -   Dall'homepage del sito gli
utenti possono anche ascoltare la playlist con le
musiche più famose dei grandi successi del mae-
stro creata ad hoc da Deezer, media partner del-
l'evento, per l'uscita nelle sale di "Fear and De-
sire".

Certo  con il senno  di poi  è  facile, oggi, 
rintracciare in questo primo lavoro di una
certa compiutezza i temi, gli stili, le osses-
sioni e i rimandi che poi si sarebbero sus-
seguiti in una delle carriere più emblema-
tiche della storia del cinema. Non di me-
no, analizzando il lavoro è impossibile non
rintracciarvi almeno  i semi  da cui nasce-
ranno i futuri frutti. Il lavoro, della durata
di poco più di un'ora, si sviluppa in tre mo-
vimenti o, se preferiamo, in tre atti.

-LA STORIA  -   Quattro soldati di un imprecisato 
esercito che stanno combattendo in un'imprecisata 
guerra  in un  altrettanta  imprecisata zona (da cui
l'astrattezza stilistica del lavoro) devono ricongiun-
gersi al proprio esercito. Decidono così di costruire
una zattera per scendere lungo il fiume che scorre 
nella foresta in cui si trovano.    Dopo uno scontro 
vittorioso  con una pattuglia nemica, dopo il quale
uno dei quattro  dà segni  di squilibrio, incontrano
una ragazza. Temendo che possa tradirli, la lega-
no ad un albero. Nel corso di una colluttazione con
uno dei soldati che ha tentato di violentarla, rimar-
rà però uccisa.   Intanto, intercettato il commando
avversario, due dei soldati si avvicinano, ma si ac-
corgono che  i militari nemici  hanno  i loro  stessi
volti: quando si avvicinano per dare il colpo di gra-
zia, gli sembra di guardarsi in uno specchio. Riuni-
tisi agli altri, aspettano  la zattera  per discendere 
il fiume.
Come si vede, tra i tanti - il pacifismo, la guerra,
la violenza, la presenza perturbante della donna -
emerge già, prepotente, il tema del "doppio" che
Stanley Kubrick  mutua  dalla  "Traumnovelle"
dall'amato scrittore (e medico) viennese Arthur
Schnitzler e che, molti anni dopo, gli servirà co-
me base per "Eyes Wide Shut" (1999), che sarà
il suo ultimo film. Un cerchio chiuso che si riapre,
in un certo senso, ritornando alle origini di un mi-
to che l'autore newyorkese ha sapientemente co-
struito tra genio e regolatezza all'insegna di una
maniacalità diventata ben presto leggendaria.
IL COMMENTO
Solo 13 film in 50 anni ma tutti necessari.
Topolin, Topolin... Viva Topolin... E' uno dei più
folgoranti finali del cinema, in "Full Metal Jacket"
(1987) del grande Stanley Kubrick, motivo cantato
mentre le truppe Usa tornano disfatte da una scon-
fitta in Vietnam.    Un film che commuove e che fa
storia. "Tu non vivrai per sempre - dice l'inflessi-
bile sergente a una recluta - ma il corpo dei marines
ha un buon motivo per continuare a vivere". Topo.
lin,,, Topolin... Intanto il massacro continua.
Si annuncia, per i prossimi giorni, il film che segnò
l'inizio della carriera strepitosa di Kubrick (1928-
1999), "Fear and Desire". Inedito in Italia è stato
completamente restaurato in hd   dalla Library of
Congress di Washington  e doppiato per la prima
volta in italiano.   Il film sta per essere proiettato 
in oltre 90 sale in tutta Italia. In quasi 50 anni que-
sto eccezionale regista ha diretto solo 13 lungome-
traggi, significando ancora una volta  che i veri ar-
tisti non lavorano a cottimo ma soltanto quando ne
avvertono la necessità.
Anche  solo  un rapido sguardo  ai suoi film - che 
ogni appassionato di cinema ha visto e ben ricor-
da - ci permette di affermare che ognuno di essi
ha una precisa ragione d'essere, è valido e "de-
finitivo".  Pensiamo, per farla breve, a "Orizzon-
ti di gloria" (1957), con Kirk Douglas sulle fango
se trincee della prima guerra mondiale, a "Lolita"
(1962), con James Mason  e  Sue Lyon, finanche
superiore al bst seller di Nabokov, a "Barry Lyn-
don" (1975), sontuosa ricostruzione del romanzo
settecentesco di Thackeray, a "Shining" (1980),
con Jack Nicholson e Shelley Duvall terrorizzati
da occulte, ma familiari, presenze in un hotel ab-
bandonato, al "Dottor Stranamore" (1964), sul ba-
ratro della guerra atomica e, in fine, senza dimen-
ticare il finimondo "domestico" di "Arancia mec-
canica", a "2001: Odissea nello spazio" (1968),
che  costringe  l'aspetto fantascientifico  dentro 
l'involucro della filosofia. Fino al testamento di
"Eyes Wide Shut" (1999), con Tom Cruise e Ni-
cole Kidman, sul baratro  esistenziale  tra l'aldi-
qua e l'aldilà.
Con tutto che i suoi film non fossero facili da capi-
re e memorizzare lui, Stanley, era  un uomo sem-
plice, un amico. A quei pochi giornalisti che riusci-
vano a parlargli, noi tra questi a Venezia nel '62,
l'anno di "Lolita", diceva subito;  "Non mi parli
dificile, per favore". Impagabile. Grandezza del
genio.

Lucianone

sabato 6 luglio 2013

Cultura - Lo scrittore americano DAN BROWN

6 luglio 2013 -  sabato                                                       visioni post - 7
  Da sempre appassionato di misteri e di codici
segreti, Dan Brown ha messo questi suoi interessi
al centro dei due best-seller che hanno conquistato
le classifiche di tutto il mondo: 'Il codice Da Vinci'
e 'Angeli e demoni'.

Dan Brown: "Un romanzo è come 
la vita senza le parti noiose. / Non
sono un teorico del complotto ma
credo nelle mie storie."
Questo ha detto, tra altre cose, lo scrittore statunitense
durante il Dialogo-intervista avuto, alla Repubblica del-
le Idee di Firenze, con il giornalista Vittorio Zucconi.

(da la Repubblica / R2CULTURA - 7 giugno 2013 - Laura
Montanari)
Dove si trovano le parole, come si costruisce una storia
che diventa un thriller di successo, pagine che milioni
di lettori a varie latitudini del mondo divorano per ar-
rivare  a una fine  uguale per tutti, un punto  messo a 
fuoco. Con Dan Brown è un rischio: la fine spesso non
ha i contorni così definiti e limpidi da tranquillizzarci.
una volta arrivati al capolinea. "Scrivere una fiction è
come scrivere  della vita   tagliando tutto quello  che è 
noios", dice Dan Brown, lo scrittore americano del mi-
stero e dei mille segreti che circondano le sue storie, 
dal Codice Da Vinci all'ultimo Inferno (Mondadori).
Si racconta consegnandosi senza ombre a Vittorio
Zucconi. E' uno degli incontri più attesi della prima 
giornata fiorentina della Repubblica delle Idee (tut-
to esaurito da giorni). Due poltroncine sul palcosce-
nico, Palazzo Vecchio, Salone del Cinquecento, in-
torno un perimetro di affreschi e armonie artistiche.
E' anche, e non a caso, uno dei luoghi  dell'ultimo 
romanzo di Dan Brown.
V. Zucconi  -  Nelle sue siorie c'è spesso l'idea di
poteri che ci nascondono le cose.
D. Brown  -  Scrivo il romanzo che da lettore vorrei
leggere.
Zucconi  -  E' vero che per farsi venire delle idee e
far circolare meglio il sangue, a volte si appende a 
testa in giù?
Brown  -  Può sembrare strano ma è così. Mettersi
a testa in giù  è  un altro modo  di vedere il mondo,  
cambia la prospettiva... e questo aiuta.
Zucconi  -  Come costruisce una trama? Parte da
un'idea e mette intorno un racconto?
Brown  -  Per me scrivere è come realizzare una casa,
bisogna  cominciare  dalle fondamenta  e farlo bene,
avere le grandi linee della storia in testa.  Di Inferno
ho scritto all'inizio cento pagine, poi ci ho lavorato
su (sono diventate 522, ndr). Se non ho chiaro dove
voglio arrivare, rischio  di andare avanti  e  poi fer-
marmi senza trovare una via d'uscita quando sono
al 99 per cento del libro. Mentre facevo le ricerche
per Inferno e prima ancora per Il codice Da Vinci,
mi sono reso conto che la filosofia e la storia della
Chiesa diventavano per me sempre più affascinan-
ti e l'influenza  che ha avuto  la visione dantesca
dell'Inferno cristiano fosse la più precisa e la più
particolareggiata. Lo so che era già stato descrit-
to nella Bibbia e che un aldilà c'era anche nella
mitologia classica, ma è Dante  ad  averne  dato 
una narrazione completa, vivida e terribile.  La 
storia prosegue anche così.
Zucconi   -   Certo è molto coraggioso, lei che è
americano, venire qui a parlare di Dante ai fio-
rentini.
Brown  -  (ride) Il  mio  romanzo  è  una lettera 
d'amore a Dante, a Firenze, alla vostra cultura.
Zucconi  -  In Inferno lei parla di un misterioso
Consortium e aggiunge una postilla: "E' un'or-
ganizzazione privata  con sedi  in sette diversi
paesi.   Il nome è stato cambiato per motivi di
sicurezza e privacy".    Lei crede a quello che 
scrive?
Brown  -  Assolutamente sì. Sono più uno scettico che
non un teorico del complotto.
Zucconi  -  Ci sono casi in cui le teorie complottistiche
nascono per esempio, dal rifiuto di credere che 19 ter-
roristi possano  dirottare  aerei  e  colpire  il cuore di  
New York sconvolgendo il mondo.  Ha mai pensato a 
scrivere un libro sull'11 settembre?
Brown  -  Penso che  non ne sarei capace, provo anco-
ra troppo dolore. Non mi sento pronto. Quanto ai com- 
plotti, il passato ha dimostrato come a volte anche un
solo uomo possa cambiare il corso della storia.
Zucconi  -  Cambiando completamente argomento, 
perchè nei suoi libri non c'è quasi mai sesso?
Brown  -  Mi sono posto come sfida di creare bestseller
senza il sesso. In Inferno c'è in realtù una scena ripetu-
ta due volte, ma lì era indispensabile. Non metto nei li-
bri ingredienti come sesso e violenza gratuita per ven-
dere di più, li metto soltanto se li ritengo funzionali e
importanti rispetto alla storia chr vado a raccontare.
    Dan Brown

Zucconi  -  In Inferno a un certo punto spiega che
Dante ha scritto in volgare per frsi capire da tutti,
mi è sembrato.di cogliere in quel passaggio un suo
riferimento a chi la critica dicendo magari  che lei 
non è uno scrittore raffinato, che non usa un ingle-
se dickensiano ma una lingua nazionalpopolare...
Brown  -  Uno scrittore o un artista o un musicista
quando compongomo qualcosa  si lasciano in gene-
re guidare dal proprio gusto. Scrivo cose che piac-
ciono a me.
Zucconi  -  In Inferno  lei affronta  anche il tema
della crescita esponenziale della popolazione del
pianeta.
Brown  -  Negli ultimi 85 anni la popolazione del
mondo è triplicata, ogni giorno nascono 200mila
bambini.  E' un tema che mi interessa molto e di
cui parlo nel romanzo, ma ho rispetto dei lettori
e non suggerisco delle soluzioni, mi basta  che si
facciano un'idea del problema. La stessa cosa va-
le quando  parlo del bene  e del male, penso che
anche i cattivi abbiano delle ragioni per compor-
tarsi in quel determinato modo e quindi bisogna
interrogarsi, non smettere di farsi delle domande
prima di giudicare. Farsi domande del resto è il
solo modo per vincere l'apatia.
Zucconi  -  Con Il Codice da Vinci è stato attac-
cato da certi ambienti della Chiesa.
Brown  -  Non mi sarei mai aspettato che chiedersi
quale fosse il senso del Cristianesimo se Gesù non
fosse stato il Figlio di Dio, potesse scatenare tante
reazioni. Sono vissuto in una famiglia in cui quel-
le domande si potevano fare...
Zucconi  -  In alcuni suoi libri, penso al Simbolo per-
duto, lei insiste  sul ruolo  della Massoneria:  può 
prendere un  dollaro e mostrarci i simboli che trova 
sopra?
Brown  -  (frugandosi nelle tasche e tirando fuori 
una banconota verde e mostrandola alla sala):
Qui c'è una piramide non terminata... ecco penso
che  una piramide  non terminata  sia per noi  un 
simbolo: possiamo fare ancora delle cose e farle
bene, non dobbiamo smettere di costruire. Lo penso
profondamente, nel mio cuore.



Dan Brown a Firenze

"La verità del ghiaccio"
Nuovo, sorprendente romanzo di Dan Brown
'Un misto di scienza, storia e politica; un fuoco
di fila di colpi di scena tra la Casa Bianca e il
Polo Nord'  (Corriere della Sera).

Quale mistero nasconde il meteorite scoperto
dalla NASA non lontano dal Polo Nord? Un
gruppo di scienziati indaga. Ma il rischio è 
molto alto.
La notizia è di quelle che potrebbero rivoluzionare
la scienza e sconvolgere la Storia: al di là dell'82°
parallelo, dove  l'isola di Ellesmere  si  protende 
verso i ghiacci del Polo Nord, la NASA ha indivi-
duato un meteorite molto particolare. Anzi unico.  
Al suo interno, infatti, cela dei fossili di insetti. 
Un segno inequivocabile che da qualche parte, 
nell'Universo, c'è vita.

Lucianone


venerdì 10 maggio 2013

VIAGGI - Walter Bonatti a Capo Horn

Il Mito Walter Bonatti -
Dopo essersi ritirato, nel 1955, dall'attività
di scalatore, cominciò a viaggiare in terre
remote.                                                       visioni post - 111
Il viaggio - 43 anni fa W. Bonatti si imbarcò sulla
torpediniera 'Fuentealba' e salpò da Punta Arenas.

Walter Bonatti
nel 1954

(da 'Corriere della Sera' - 7 aprile 2013 - di Franco Brevini)
A Capo Horn sulle tracce
di Walter Bonatti
"Paesaggio apocalittico, senza orizzonte"
La fine del mondo, il punto più meridionale  del-
l'America, una leggenda nella storia dell'esplora-
zione, un mito per ogni velista: Capo Horn è tutto
questo e altro ancora. I pensieri si affollano, men-
tre  il solito  vento patagonico cerca di buttarmi a
terra non appena emergo sull'altopiano dell'isola.
In basso, nella piccola cala, lo "zodiac" che mi ha
portato a terra dopo una danza infernale sulle onde.
In rada all'ancora la nave delle "Cruceros Austra-
lis", che una volta alla settimana  permette anche
alla gente comune di raggiungere il selvaggio Capo
posto a oltre 55 gradi di latitudine sud, davanti allo 
stretto di Drake: l'ultimo ricordo di terre quasi nor-
mali prima dell'assurdità glaciale dell'Antartide.
Mentre salgo verso il monumento di ferro che raffi-
gura un albatrio e che ricorda  tutti i navigatori che 
hanno doppiato  il mitico  Cabo de Hornos, come lo
chiamano i cileni a cui appartiene, ripenso che qua-
rantatrè anni fa calpestava questa stessa erba gial-
la e tagliente il più famoso alpinista ed esploratore
bergamasco: WALTER BONATTI.
Dopo il ritiro dall'attività di scalatore, nel 1965, Bo-
natti aveva cominciato a viaggiare in terre remote
quale avventuroso inviato di "Epoca". I suoi servi-
zi, corredati dalle primesbalorditive immagini della
wilderness che giungessero agli italiani, hanno fat-
to sognare più di una generazione. Io stesso credo
diu avere maturato  la  mia  passione  per i grandi
spazi del mondo  su quelle pagine patinate, corre-
date di fotografie che oggi possono farci sorridere,
ma che allora erano ambasciatrici di favolose lon-
tananze per l'Italia del boom economico.
"Mi è venuta l'idea di raggiungere Capo Horn, il
più remoto e leggendario scoglio della storia ma-
rinara, dopo aver letto  un certo numero  di libri
che parlano di allucinanti naufragi accaduti a de-
cine di bastimenti trascinati dall'uragano".
Così inizia su "Avventura" (Rizzoli, 1984) il racconto
di Bonatti. Allora il turismo non aveva ancora toccato
Capo Horn e l'alpinista bergamasco dovette rivolger-
si  nientemeno  che  all'ammiraglio  Guillermo Barro 
Gonzales, comandante  della Terza Zona Navale Ci-
lena, di Punta Arenas, da cui anch'io sono salpato 4
giorni fa. Trasportato a Puerto Williams, Bonatti si
imbarca  sulla  torpediniera Fuentealba, che lo  tra-
sporterà al Capo.
Anche questa mattina un vento radente scolpiva la
superficie del mare di onde taglienti. L'acqua ribol-
liva  di  creste schiumose  e  la  "Stella Australis",
che pure è stata progettata dai cileni per questi sel-
vaggi mari, beccheggiava  in modo  assai marcato.
Bonatti dipinge in modo  particolarmente  epico la
sua traversata, che si conclude con la fiera appari-
zione del Capo:  "E finalmente, il Capo Horn: che
si eleva nella bruma del controluce come un mostro
fosco e solitario. Il profilo dentellato della sua cima
più alta fa pensare al tridente di Nettuno, minaccio-
samente puntato verso le ignote solitudini dell'ocea-
no". In effetti il luogo ha un aspetto inquietante an-
che in questa giornata ventosa di fine marzo, in cui
tra le solite nubi bluastre della Patagonia si incide
qualche squarcio di azzurro. La violenza dei venti,
lo scontro delle onde dell'Atlantico e del Pacifico,
la desolazione di queste isole aride e rocciose in
cui esplode l'estremo lembo del continente ameri-
cano, sembrano fatti apposta per evocare le trage-
die che si consumano in queste acque grigie e pe-
rennemente agitate.     Anche per i velisti di oggi
Capo Horn rappresenta una sorta di Everest.

Bonatti viene lasciato a terra. Una nave passerà
a riprenderlo tra qualche giorno. Gli tocca subito
fare i conti con una tempesta, che manda in bran-
delli la sua tenda.  "Comincia a piovere, all'alba
è l'uragano. Il mare urla e ribolle con infinite cre-
ste spumeggianti. Raffiche di grandine lacerano
in breve il telone, posto ad ulteriore protezione
della tenda, e lo riducono a brandelli, che schioc-
cano come fruste ad ogni ondata di tempesta.
Devo fuggire per evitare il peggio, crcare asso-
lutamente una protezione naturale".

Lucianone

martedì 7 maggio 2013

Musica - Gli inossidabili PINK FLOYD

"Animals", decimo album del
gruppo inglese: invettiva anti-capitalista
                                    ideata da Roger Waters
 Pink Floyd


In "Animals" cani contro maiali e Orwell diventa rock
Il primo riferimento di Animals dei Pink Floyd, datato 1977,
è ovviamente a "La fattoria degli animali"  di George Orwell,
ma con un mutamento sostanziale del concetto base che
ispira l'opera letteraria. -  Se Orwell nella sua allegoria se
la prendeva soprattutto  con lo stalinismo, e comunque in
generale con i meccanismi sociali che producono dittature,
Roger Waters  adegua  la visione  al suo personale credo,
che era sostanzialmente anti-capitalista. La critica alla so-
cietà inglese è feroce, e frequenti sono  i riferimenti diretti
alla situazione del tempo, ma ovviamente stiamo parlando
dei Pink Floyd e il disco, nel suo languido e onirico flusso
sonoro, più che un manifesto politico, a parte certe punte
di inacidita asprezza, appare come un viaggio nella natura,
con versi di animali sparsi per tutto l'album, evocazioni bu-
coliche acustiche che al momento della sua uscita sembra-
rono una decisa presa di posizione controcorrente, soprat-
tutto in relazione  alla rivoluzione punk  che stava appena
esplodendo (ed è nota la maglietta che indossava Johnny
Rotten con la scritta "Hate Pink Floyd).
Animals fu comunque un disco controverso, splendido e
misterioso, che rimarcava la sempre più netta leadership
di Roger Waters, ormai saldamente  al  comando  delle
operazioni della band, a cominciare dalla celebre coper-
tina, disegnata come al solito dallo  studio Hipgnosis di
Storm Thorgerson ma ideata dallo stesso Waters. L'idea
era quella di ritrarre la famosa ex centrale elettrica londi-
nese, la Battersea Power Station, che  coi  suoi quattro
fumaioli può  sembrare  un animale rovesciato, e sopra
far levitare in modo speculare un pallone a forma di ma-
iale (che aveva anche un nome, Algie).

La formazione storica del gruppo. Da in alto a sinistra
in senso orario: Roger Waters, David Gilmour, Richard
Wright e Nick Mason

In Animals la session fotografica ha creato uno degli episodi
più noti e divertenti dell'aneddotica pinkfloydiana. Il pallone
(a forma di maiale) infatti si staccò dagli ormeggi e comin-
ciò a levarsi in volo. Fu diramato un comunicato agli aerei
in arrivo nel cielo di Londra. avvertendoli  che avrebbero
potuto incrociare un grosso maiale, che fu poi recuperato
indenne in una campagna nei dintorni della città.
I maiali, nel disco, sono gli arrampicatori sociali, gli arrivi-
sti senza scrupoli, i cani sono i governanti, e le pecore rap-
presentano il popolo che alla fine si ribella alla sopraffazio-
ne. Con un suggello personale di Waters, che con voce e
chitarra acustica (Pigs on the wing 1 e 2) apre e chiude
quello che è stato in ordine di tempo, il terzo album concept
dei Pink Floyd.
(da la Repubblica - 8 aprile 2013 - Gino Castaldo)

dei Pink Floyd formato da 2 dischi
Uno col repertorio live della band e l'altro con
inediti che mettono in evidenza le singole personalità

Quei suoni che ci trasportano nel futuro
Il titolo è diventato un "brand", un marchio, Ummagumma:
in sè non ha senso, nè la band né ha mai spiegato uno,
ma per una intera generazione, nel pieno del 1969 (era
Woodstock) all'indomani delo sbarco sulla luna, quella
parola acquista un significato magico, alternativo, e
profondo, l'indicazione di un "altrove", di un mondo
nuovo, diverso da tutto.  E' così anche la musica dei
Pink Floyd, lontana e diversa, misteriosa  e  affasci-
nante e 'Ummagumma' è l'incancellabile egno della
loro alterità.    Anche la copertina, con il suo gioco
di specchi al contrario, sembra dire "aprite gli occhi,
la mente: la realtà è diversa".
'Ummagumma' è un album doppio, composto da due
dischi diversi, uno dal vivo e uno in studio; il primo
realizzato con brani che già facevano parte del re-
pertorio dei Floyd in concerto, il secondo inedito.
Ma le due metà si completano perchè ci racconta-
no come la band sta cambiando.
Dal vivo la formazione è nel pieno el viaggio astrale
di Astronomy Domine e Set the controls for the heart of
the sun, nella sorprendente energia  di  Careful with that
axe, Eugene, o nella scoperta dell'invisibile di A saucerful
of secrets, una band compatta e creativa, che lascia spa-
zio ad una straordinaria interazione tra Mason, Gilmour
Waters e Wright.

La parte in studio, invece, mette in evidenza le singole
personalità. Ecco quindi Sysyphus di Rick Wright, divi-
sa in 4 parti, complessa e ricca, in bilico tra classico e
avanguardia. Nick Mason propone The grand vizier's 
garden party, viaggio estremo e fantastico tra ritmi e
rumori. Gilmour mantiene dritta la barra  dei Floyd,
con The narrow way, dodici minuti psichedelici, come
si caratterizzerà il suono dei lavori seguenti, mentre
Roger Waters continua la sua personale rivoluzione
musicale, sia con la bellissima Grantchester Meadows,
acustica e sognante, sia con la sperimentale Several
species of small furry animals gathered together,
titolo adatto a illustrare la sua volontà di esplorare
il mondo dei suoni in maniera sorprendente.
'Ummagumma' è un gioiello, splendente e misterioso,
che fotografa la band nel pieno  del passaggio dalla
prima fase sperimentale, legata alle origini con Barrett,
e la nuova realtà, verso la quale ognuno dei quattro
componenti, a suo modo, si indirizza.
Un disco difficile nella sua parte nuova, nella quale 
vengono racchiuse le sorprese più belle, e allo stes-
so tempio  un "greatest hits" dal vivo; un album che 
porta il mito dei Floyd ai massimi vertici dell'era psi-
chedelica che volgeva verso il tramonto.  Tramonto
che i Floyd vedono al punto da intraprendere nuove
strade e chiudere, alla loro maniera, gli anni Sessanta.

Lucianone