mercoledì 28 agosto 2013

Cultura - Lo scrittore americano Patrick McGrath

28 agosto 2013                                                                       
visioni post - 18

Tratto da una parte della lectio magistralis  che
McGrath ha tenuto al Palazzo Medici Riccardi
di Firenze per il Festival degli scrittori Premio
Gregor von Rezzori - Città di Firenze
nel giugno 2013.
Riflessioni sulla follia
McGrath: "Nella schizofrenia 
il segreto della letteratura"
Lo scrittore racconta come è nata la vocazione 
a mettere il disagio mentale al centro della sua opera.

(da la Repubblica / R2Cultura - 12/06/2013 ) 
ELOGIO DELLA FOLLIA
di 
Patrick McGrath
Uno psichiatra  mi ha iniziato  alle  riflessioni  sulla
follia quando avevo otto anni. Era mio padre. Per 25
anni è stato direttore del Broadmoor, un ospedale
psichiatrico di massima sicurezza vicino a Londra.
Non ho mai sofferto di schizofrenia, ma da ragaz-
zino ho imparato da lui molte cose su questa ma-
lattia. Dico "malattia". Oggi si pensa che la schi-
frenia sia un insieme di sintomi collegati fra loro,
più che una singola patologia: una sindrome, non
una malattia. Un tempo si credeva che comportas-
se una personalità divisa, ma mio padre mi spiegò
che più esattamente lo schizofrenico era caratteriz-
zato da una personalità frantumata. Potrebbe essere
stata quella conversazione, o una simile, a mettermi
sulla strada per scrivere la follia.
Ricordo  che una volta, da giovane, ero con lui al
crepuscolo, attraversavamo  un cortile all'interno
delle mura di Broadmoor.   Un grido giunse  dalle
finestre in alto del Blocco Sei. Lì andavano i nuo- 
vi arrivati, uomini che per la maggior parte, in pre-
da alla psicosi, avevano commesso atti  di grande
violenza, spesso omicidi.  Ma non era un grido di 
demenza furiosa quello che sentii quella sera: era
un grido che esprimeva la più profonda infelicità.
"Povero John", disse mio padre, e io capii che lui
capiva la sofferenza del suo paziente, e il fatto che
capisse privava il grido del suo carattere spaven-
toso. Per poter scrivere la follia bisogna prima ri-
conoscere  l'umanità  di chi soffre, e poi stabilire
perchè soffre.
      Patrick McGrath
Le mie prime letture sono state in gran parte
racconti horror.  Divoravo i libri  di  Algernon
Blackwood, M. R. James e Sheridan Le Fanu,
e più tardi quelli  di Ambrose Bierce  e  Edgar
Allan Poe, che svilupparono in me un gusto du-
raturo per la letteratura gotica.
In seguito giunsi alla conclusione che con Poe 
si ebbe nella storia del gotico  un momento di 
svolta, quando il genere largamente identifica-
to con i fenomeni soprannaturali si rivole slle
disfunzioni psicologiche e scoprì nella mente
che si disintegra un  filone d'oro nero.   Con  
Poe, infatti, la dote e la funzione particolare
della narrativa gotica divenne l'esposizione
dei meccanismi inconsci.  Un mondo di incu-
bi  e fantasmi, di sublimazione, regressione 
e spaesamento, di Doppelgànger e altri mo-
stri dell'Id fu  abbondantemente  esplorato
più di un secolo prima che Freud organizzas-
se il materiale in base a una teoria e scrivesse
la follia dall'interno di un paradigma scientifico. 
La teoria  psicoanalitica  e i case studies che la 
puntellano sono la continuazione del romanzo 
gotico con altri mezzi.

















Edgar Allan Poe

Nei suoi racconti horror Poe offrì al mondo una bella
collezione di nevrotici, paranoici e psicopatici.  Penso
in particolare ai narratori dementi del Cuore rivelatore
e del Gatto nero, e anche a Roderick Usher e a William
Wilson.  Ma non credo che nessuno dei personaggi di 
Poe sia spaventosamente pazzo quanto Montresor, co-
lui che narra La botte di Amontillado. Il resoconto, da
parte di Montresor, della sua esacerbata amicizia  con
un uomo di nome Fortunato incomincia, nella prima
frase del testo, con una minaccia. "Le mille offese di
Fortunato le avevo sopportate  come meglio  potevo,
ma quando arrivò all'insulto giurai di vendicarmi".
Che ricchezza patologica rivelano queste parole! -
giacchè ben presto appare chiaramente che le 'mille
offese' di cui parla Montresor sono per lui meno gra-
vi dell' "insulto" che dichiara di aver subito.
Che cosa sono dunque queste mille offese? Sono gesti
di disprezzo? Allusioni, magari, accenni e sussurri?
Man mano che  il racconto si dipana, con crescente
disagio incominciamo a capire che è a causa di que-
sto disprezzo, e dell'insulto  che  ne consegue, che
Montresor ha murato l'amico  nelle cantine di un
palazzo veneziano in rovina e l'ha lasciato lì a mo-
rire.     Questo è uno scrivere la follia di altissimo 
livello. -  E' anche uno dei primi buoni esempi di
narratore inattendibile.   Dopo averci introdotto
nella paranoia di Montresor con quella prima frase, 
poe non ci lascia più scampo. Come il povero Fortu-
nato, anche noi  siamo rinchiusi  in  una  struttura 
soffocante da cui solo la morte - o la fine del raccon-
to - può liberarci. <fino a quel momento, siamo pri-
gionieri  di una logica  perfetta, se non fosse che è
costruita su una promessa falsa, folle.
I miei esperimenti, nell'arte oscura di scrivere la
follia, incominciarono con un romanzo  che rie-
cheggiava alla lontana Poe. Voleva essere il sem-
plice racconto di un idraulico londinese che ucci-
de la moglie per potersi portare in casa l'amante,
una prostituta.     Ebbi l'idea di far raccontare la 
storia al figlio bambino dell'idraulico. Poi decisi
che il bambino  doveva  ricordare questi fatti  da
adulto, ma che la sua rievocazione non corrispon-
deva a ciò che era accaduto. Poi mi venne in men-
te che il mio narratore  non fosse  semplicemente
inaffidabile, ma psicotico. Soffriva di schizofrenia.

















Qui il problema di scrivere la follia mi si presentò
per la prima volta forte e chiaro. La narrativa d'in-
venzione e la psicosi  sono  entità che si escludono 
a vicenda. Il figlio del mio idraulico non possede-
va l'agghiacciante rigore intellettuale del Montre-
sor di Poe, ma era nondimeno malato, una creatu-
ra disorganizzata i cui pensieri saltavano di palo
in frasca  a seconda di ciò  che gli era intorno  e 
delle associazioni  apparentemente casuali  che
scattavano nella sua mente confusa. Sopranno-
minato "Spider" dalla madre (prima della morte
prematura di costei) il suo cervello  non  curato 
era un insieme incoerente di irrazionalità, allu-
cinazioni e illusioni sensoriali.
Immaginai che il mio personaggio, Spider, spro-
fondasse nella follia per tappe, e in conseguenza 
di un'ipotesi sbagliata. Immaginai che tornasse
nel quartiere orientale di Londra in cui era cre-
sciuto, un uomo sparuto, che parla da solo e che
nel suo  vagabondare solitario  si accorge che il 
suo sguardo  è attratto  in maniera irresistibile 
dall'incombente struttura circolare di un gaso-
metro, una vista non insolita  in  quella parte 
della città.

CONTINUA...
to be continued...