domenica 15 luglio 2018

Scrittori - James Joyce: da 'Ulisse' a 'Finnegans Wake', viaggio al termine del '900

: 15 luglio '18 - domenica              visione post - 92


(di Stefano Bartezzaghi - da il venerdì di Repubblica, 13 gennaio '17)  

L'ultima follia di Joyce -
Finnegans Wake fu scritto dal genio irlandese poco
prima di morire. ......

CON
         l'Ulisse  aveva sconvolto  il romanzo, ma con
Finnegans Wake andò oltre, inventando un poema
dalla lingua babelica dove i miti si confondono con
le canzoni da pub.
L'ammiratore Umberto Eco lo definì "terrificante".
Tradurlo sembrava impossibile. Però due italiani
ci sono riusciti.  Qui spieghiamo  come hanno af-
frontato un capolavoro venerato dalle avanguardie
ma che oggi qualsiasi editore butterebbe nel cestino.
"Riverrun", "Meandertale", "Chaosmos " sono tre
fra le parole-chiave (molte, e tutte assenti da ogni vo-
cabolario) del romanzo di cui l'autore stesso pensava;
"Forse è una follia. Si potrà  giudicare  solo fra un se-
colo".  Oggi è ancora troppo presto, di anni ne sono 
passati meno di ottanta, e l'opera estrema di James 
Joyce può continuare a sembrare una congettura di
Jorge Luis Borges. Isinvece il Finnegans Wake non so-
lo esiste davvero, ma viene persino tradotto in italia-
no.  Di Joyce è opera estrema non solo perchè ultima
(è uscito nel 1939), diciassette anni dopo l'Ulysses, e
due anni prima della morte dell'autore.    Lo spiegò
Umberto Eco, nel 1962: "Pareva che Ulysses avesse
sconvolto oltre ogni limite la tecnica del romanzo: 
Finnegans Wake supera questo limite oltre i confi-
ni del pensabile. Pareva che in Ulysses il linguaggio
avesse dato prova di tutte le sue possibilità Finnegans
Wake porta il linguaggio  oltre ogni confine di duttilità
e di comunicabilità. Pareva che Ulysses rappresentasse
il più ardito tentativo di dare una fisionomia al caos:
Finnegans Wake costituisce il più terrificante documen-
to di instabilità formale e ambiguità semantica di cui si
sia mai avuta notizia". 
Più di recente lo scrittore Martin Amis ha significati-
vamente intitolato  "La guerra contro i clichè"   una
prefazione all'Ulysses, e vi ha così riassunto le quat-
tro tappe fondamentali della produzione joyciana: 
" Gli accessibilissimi racconti di Gente di Dublino,  
il più o meno comprensibile Ritratto dell'artista da
giovane, poi l'Ulisse, prima che Joyce si prepari per
per  quell'immolazione  di ostilità, di sterminio  del
lettore  che  è Finnegans Wake, dove  ogni  parola è 
un pun multilingue".   E' il gioco di parole, quindi, 
la "terrificante" (Eco) arma  con cui  si compie  lo
"sterminio del lettore" (Amis).   Nel pun le parole 
possono incastrarsi l'una nell'altra, aprendo nuo-
ve dimensioni di significato:  i gemelli "siamesi" 
sono "soamheis" (so-am-he-is, così come io sono,
egli èl; "Chaosmos" è il caos che non si oppone
ma si interpone al cosmo; "riverrun" (prima e 
ultima parola del romanzo, scritta in minuscolo
perchè la fine si salda con l'inizio)  è  un'unione 
di "fiume" e "scorrimento" (ma può essere mol-
te altre cose); "Meandertale" è una sorta di scia-
rada fra il "meandro"  e  il "racconto (tale) che
finisce per produrre un'entità vicina a "Neander-
thal", quindi all'uomo primordiale e ai suoi istin.
ti primari. Giochi, ma quanto divertenti? Il tito-
lo Finnegans Wake è ricavato dalla canzonaccia
irlandese da osteria La veglia di Finnegan, il cui
ritornello dice "Vedi che avevo ragione? / Alla
veglia di Finnegan ci si diverte da matti!". Per
Joyce agglomerare parole o, al contrario, disag-
gregarle in atomi entropici di significato era an-
che  un divertimento  personale: non a caso gli
capitava di chiamarlo "joycity", gioiosità joy-
ciana.
Al proprio "meandertale", oscuro labirinto e puzzle 
narrativo, Joyce augurava lettori poliglotti  e  ideal-
mente insonni.  Dei traduttori  non ha parlato  (per 
quanto lui stesso abbia partecipato alla traduzione
italiana di una sezione), ma il testo  li postula onni-
scienti e invulnerabili.  Dopo qualche saggio di tra-
duzione italiana assai parziale da parte di scrittori
intrepidi  come Gianni Celati  e  Rodolfo Wilcock
(oltre allo stesso Joyce), a decidere  di  affrontare
non l'Ottomila  di uno o due capitoli  ma l'intero
Himalaya del libro completo  è stato un tradutto-
re bolognese, Luigi Schenoni (1933-2008): nell'in-
credulità generale pubblicò il primo volume nel
192, da Mondadori, e arrivò poi a tradurre i due
terzi dell'opera. Il suo testimone è stato raccolto
da Enrico Terrinoni e Fabio Pedone  di cui  ora 
esce la traduzione del penultimo tratto di Finne-
gans Wake Libro Terzo, capitoli 1 e 2, Monda-
dori, pp. 420, euro 24), corredato di diversi ap-
poati, oltre che dall'imprenscindibile testo ori-
ginale a fronte. 




Come dicono i nuovi traduttori, la difficoltà è che
il romanzo  "si traduce da solo",  poichè è scritto
in una lingua babelica, in cui l'inglese si confron-
ta con apporti  di ogni altra lingua conosciuta  o
raggiunta da Joyce (ivi compreso non solo l'ita-
liano ma anche il dialetto triestino: chissà quan-
ti non-italiani leggendo "riceypeasy" penseran-
no ai "risi e bisi" qui evocati consapevolmente
da Joyce).
La storia  di questo libro inimmaginabile  era
cominciata nel 1922, un anno dopo l'uscita di
Ulysses. Fu allora che Joyce prese ad alludere
a un nuovo progetto: per iscritto vi si riferiva
con il disegno di un quadratino; quando ne par-
lava, lo chiamava work in progress, il lavoro in
corso. Nel 1928 mise in palio mille franchi, per
chi avesse indovinato il titolo definitivo ( il pre-
mio  fu aggiudicato  dieci  anni dopo, un anno
prima dell'uscita del romanzo. -    La canzone
Finneggan's Wake parla della veglia funebre 
per un ubriacone, durante la quale  gli amici
bevono e litigano, fanno cadere un goccio di 
whisky sul cadavere, che si ridesta ("wake"
come nome significa "veglia" ma come verbo
sta per "svegliarsi".  Joyce trasformò "Finne-
gan's" in "Finnegans", e la veglia di Finnegan
diventò "la veglia dei Finnegan" o "i Finnega-
ns si svegliano". Nè si può trascurare la circo-
stanza per cui Finn è un gigante della mitolo-
gia irlandese, nel mito di fondazione della cit-
tà di Dublino, e sempre per assonanza e pun
"Finnegan" può diventare "Finn again", anco-
ra Finn, in riscossa dello spirito irlandese. 
Come se non bastasse c'è il latino, dove "negans"
è participio presente di negare  e  quindi "Fin ne-
gans wake" è una veglia, o un risveglio, che nega
la fine.
Il fatto è che Joyce  era rimasto  impressionato,
letterariamente  se  non  filosoficamente, dalla 
Scienza Nuova di Giovan Nattista Vico, con la
dottrina dei corsi e ricorsi  e la sequenza delle
ere degli Dei, degli Eroi e degli Uomini.  Volle
narrare un ciclo vitale ricorsivo incarnandolo
però nella forma stessa del suo romanzo, non
una quadratura del cerchio, ma una circola-
zione del quadrato, diceva:  il quadrato  sta
per il susseguirsi di nascita, crescita, morte,
rinascita. A capirlo prima di tutti fu il giova-
ne Samuel Beckett che di Joyce era stato an-
che collaboratore stretto, e quando del Work
in Progress  non  si  conoscevano  che  pochi
tratti ne parlò così: "Qui la forma è il conte-
nuto, il contenuto è la forma.  Si protesterà
che questa roba non è scritta in inglese. Non
è affatto scritta. Non è fatta per esser letta,
o almeno non solo per essere letta. Bisogna
guardarla e ascoltarla. La scrittura di Joyce 
non è su qualcosa: è quel qualcosa".

Risultati immagini per joyce - finnegan wakes

Nel contenuto e nelle forme espressive della
narrazione fra l'Ulysses e Finnegand Wake
avviene il passaggio dal giorno alla notte.
Là c'era una giornata nella vita di un everyman
Leopold Bloom; qui è il sogno di un altro uomo,
l'oste H. C. Earwicker. Nelle forme di un'allego-
ria letteraria l'Ulisse-Boom aveva il suo Telema-
co-Dedalus e la sua Penelope-Molly, e incontra-
va sirene, ninfe e tempeste; invece nel sogno di
Earwicker le figure dei diversi livelli (narrativo,
storico, geografico, mitologico)  non  scorrono
più parallele al testo ma si fondono fra loro se-
condo le condensazioni tipiche del lavoro oniri-
co.  Le iniziali di Earwicker, H. C. E., stanno an-
che per Here Comes Everybody (Qui arriva ognu-
no) e per molte altre soluzioni dell'acronimo; la
moglie Anna Livia Plurabelle nel nome incarna
il fiume dublinese Liffey; corrispondenze nume-
rologiche trasfigurano i dodici clienti dell'osteria
di H. C. E. negli apostoli  o nelle ore dell'orolo-
gio... In un mondo di trasmutazioni della materia e delle
identità (i sogni, del resto, sono fatti così), la lingua me-
desima diventa un dispositivo di condensazione, in cui
radici, etimi, somiglianze, accezioni alternative  convi-
vono nella stessa parola. Se l'Ulysses rompeva la sin-
tassi dell'inglese e la ristrutturava, il Finnegans Wake
non è più scritto in inglese, ma è un vortice, una trom-
ba d'aria poliglotta che devasta un territorio inglese.
Umberto Eco si è potuto divertire a immaginare il 
consulente che scrive alla casa editrice: "Per piacere,
dite alla direzione di stare più attenta quando manda
i libri in lettura. Io sono un lettore d'inglese e mi avete
mandato un libro in qualche diavolo di altra lingua.
Restituisco il volume in pacco a parte.
 
LO scrittore Michel Butor ha detto: "Se noi vogliamo
leggere una pagina di Finnegans Wake dobbiamo
prendere molte parole in modo diverso da quello in cui
sono scritte, abbandonare una parte delle loro lettere e
dei loro significati possibili". Ogni lettore fa scelte pro-
prie e costruisce un proprio ritratto tramite il testo:"Fin-
negans Wake è così per ciascuno uno strumento di cono-
scenza intima".
here Comes Everybody, appunto.  Forse è significativo che
tra i primi joyciani a occuparsi a fondo di Finnegans Wake
si siano annoverati Marshall McLuhan e Umberto Exo.
L'Everybody dublinese, dall'alto del suo estremo gioco let-
terario, affascina gli studiosi di mass-media. Nella sua osteria
allora convergono: la storia, l'ostilità,  l'ospitalità,  l'isteria  di
tutti. Se fra vent'anni decideremo che si trattò di follia, già og-
gi sappiamo che lì c'era del mitico.




CONTINUA...
to be continued...