mercoledì 31 ottobre 2012

Musica - La WORLD MUSIC: canzone globale

 Perchè ì suoni         visione post . 15
degli altri mondi
hanno colonizzato l'Occidente

(da 'la Repubblica'  RCULT - 23 ottobre 2011 . di Giuseppe Videtti)
Trent'anni fa l'Olympia e la Carnegie Hall
cominciarono a riempirsi con cantanti come
la messicana Chavela Vargas o l'algerino
Cheb Khaled: era l'inizio della "world music",
e così l'Occidente si apriva ai suoni degli altri
mondi. Quella che sembrava una passione di
nicchia, si è trasformata oggi in una delle
principali risorse di compositori e star; da
Bjòrk a Shakira, da Eddie Vedder a Bregovic;
l'ibridazione con i ritmi etnici è diventata una
risposta alla crisi del pop.  E' ormai diventata
la nostra colonna sonora: Multiculturale.

Chavela Vargas
Due milioni di persone a Tharir Square, Cairo.
La grande piazza non riesce a contenerle. La folla
preme dalle grandi arterie del centro, Kasr el Nil,
Talaat Harb, fin dalla Ramses Station, dove i fel-
lahin arrivano dall'Alto Egitto e dal Delta. Non
è la rivoluzione ma un funerale. Il popolo è venuto
per l'ultimo saluto a Oum Kalthoum,  la più grande
cantante del mondo arabo. Contravvenendo alle re-
gole islamiche, le autorità  sono costrette a postici-
pare le esequie di due giorni. Motivi di ordine pub-
blico. Non riescono a caricare il feretro sul carro
come previsto. gli egiziani reclamano la loro diva,
la bara passa di mano in mano, sulle teste di uomini,
donne e bambini che piangono "la mamma" e non
smettono di cantilenare 'Enta omri", sei la mia vita,
la più popolare delle sue canzoni.
E' il 4 febbraio 1975. Le immagini  dell'addio alla
Callas d'Egitto (che nel 1967 fece piangere Marie
Lafòret durante un raro concerto all' Olympia di
Parigi)  fanno il giro  delle televisioni  di lingua
araba, ma l'eco è fievole nel mondo occidentale.
Da noi  si consumano canzonette  da tre minuti,
quelle di Oum Kalthoum sono poemi in musica
che durano tre quarti d'ora,  e per contenerli ci
vuole un intero long playing.
Non c'è attenzione per le musiche del mondo. Eppure
Robert Plant, la voce dei Led Zeppelin, dice che Oum
Kalthoum è la sua musa. lo ripete anche Peter Gabriel,
che diventerà uno degli ambasciatori delle musiche del
mondo.
            OUM  KALTHOUM

chaka Khan, la soul singer americana, cita tra le sue
maestre Yma Sumac, la cantante peruviana più melo-
diosa di un usignolo, ma  non  ci  saranno  orecchie
pronte ad ascoltare "altri suoni"   prima del 1982 
quando l'etichetta  "world music"  diventa  la ban-
diera della comunicazione globale con largo anticipo
sull'avvento di internet.
I suoni del mondo circolano più facilmente con i
flussi migratori, ma trovano affezionati anche tra
i fan irriducibili del pop-rock; e i più prestigiosi teatri
del mondo, dal Barbican di Londra alla Carnegie Hall
di New York, dall' Olympia di Parigi alla Suntory Hall
di Tokyo, spalancano le porte a Chavela Vargas, pasio-
naria messicana tanto cara a Frida Khalo, Camaron de
la Isla, eroe del nuovo flamenco, e Cheb Khaled, travol-
gente interprete del raì algerino.
Non saranno più  solo sporadiche vedette  a varcare i
confini dell'impero  come Edith Piaf e Amalia Rodri-
guez,  Chevalier e Aznavour o blasonati esponenti di
tango e bossa nova che  flirtano coi jazzisti americani 
(Piazzolla e Jobim e Joào Gilberto) o suonatori di sitar
indiani arrivati all'orecchio dei rocchettari per buona
 volontà dei Beatles (vedi Ravi Shankar o contagiosi
rasta giamaicani che con reggae e marijuana si intru-
folano nelle fantasie rock - la dinastia dei Marley - o
frenetici 'mambo kings' sbarcati a Manhattan negli
anni d'oro del Palladium  - Celia Cruz e Tito Puente -
MA una legione di talenti provenienti da deserti remoti,
giungle inesplorate, lande sconfinate, villaggi sperduti,
steppe ghiacciate, savane che celano nell'ombelico del
mondo (Jovanotti) ritmi e tradizioni scampate  all'im-
perialismo del pop.




La 'world music', da trent'anni a questa parte, è una
delle poche certezze del mercato discografico.   Con
riscontri commerciali  che gli etnomusicologi di un
tempo neanche avrebbero immaginato: i fratelli Lo-
max, che giravano il mondo per registrare voci sul
campo, o i discografici  che  in Italia  coraggiosa-
mente stampavano  canti dell'Angola  o saltarelli
marchigiani nei dischi Albatros, tanto di nicchia
da essere venduti in libreria (come quelli meravi-
gliosi pubblicati in Francia da 'Le chant du monde').
E' come se all'improvviso si scoperchiasse un secondo
vaso di Pandora rimasto sigillato e ne venissero fuori
ritmi, lingue e melodie sconosciute e scatenasse una
Babele sonora in cui miracolosamente l'ascoltatore
non perde il filo ma prende confidenza con i 'tuva'
della Mongolia, le polifonie corse e bulgare, 'morne'
e 'coladere' capoverdine, 'lundum' di Sào Tomé  e
'ponchack' coreano. Come capita spesso l'arte anti-
cipa la società perchè, da anni, è già multiculturale.


Così oggi, nel momento  di massima  crisi  del pop, la
world music è una risorsa tanto indispensabile quanto
inevitabile. Lo storico duetto Neneh Cherry & Youssou
N'Dour  - che cantarono 'Seven Seconds' (1994) come
se fossero cresciuti insieme  e non una a Stoccolma e
l'altro a Dakar - ha spalancato  le porte  a una nuova
fusion che,  dalle siderali esplorazioni  dell'islandese
Bjòrk all'ammiccante melisma della colombiana Sha-
kira  (che ha un solido pedigree mediorientale), dal-
l'appassionata  collaborazione di Eddie Vedder  dei
Pearl Jam col principe del qawwali pakistano Nusrat
FatehAli Khan (nella colonna sonora di 'Dead man
walking')  alle travolgenti fanfare zigane  di Goran
Bregovic, è diventata talmente familiare da rendere
plausibile e per niente dissonante persino un duetto
fra Celentano e Cesària Evora, la diva scalza di Capo
Verde. La world music è ormai la colonna sonora del
comune sentire.

Ma la storia ha un inizio. Nel 1982 a Shepton Mallett,
in Inghilterra, esordisce il Festival Womad (World of 
music, arts and dance), che Peter Gabriel finanzia con
i proventi della reunion dei Genesis. E' il primo passo
per la realizzazione  dei Real World Studios  a Bath,
nel Wiltshire, un sogno che Gabriel cova da anni  e 
realizza nel 1989: una sorta di laboratorio  musicale
multietnico  in un angolo incantato della campagna
inglese. La prima compilation pubblicata, 'Passion -
Sources', è il manifesto della Real World, con musiche 
dal Senegal e dall'Egitto, dal Marocco e dall'Iran, dal-
l'Armenia e dalla Guinea, dall'Etiopia e dallo Zaire;
in soli due anni oltre 75 artisti di 20 paesi del mondo 
transitano negli studi di Bath.

"Come artista mi sono sempre sentito cittadino del
mondo", dice Gabriel. "Avevo una casa in Senegal
e mentre scrivevo la colonna sonora per  'L'ultima
tentazione di Cristo'  di Scorsese, scoprii il duduk,
un  meraviglioso  strumento armeno  che  Djavan
Gasparyan suonava in maniera inimitabile. Il Wo-
mad Festival  è stato  il mezzo che mi ha messo a
contatto con decine di incredibili talenti che nes-
suno avrebbe mai scritturato in Occidente".  
Il 'Telegraph' l'ha battezzato  "l'angelo custode
della world music";  in effetti  senza di lui non
avremmo conosciuto le esotiche meraviglie del-
l'Orchestra Baobab  nè il sontuoso melisma di
Youssou N'Dour, tantomeno i tamburi del Bu-
rundi o le litanie dei monaci tibetani.

Continua...to be continued...