sabato 2 agosto 2014

Musica / jazz - Sonny Rollins: un sopravvissuto

2 agosto 2014                                 visione post - 151

Quando Sonny Rollins 
lo volevano gli Stones
Intervista a una leggenda, vivente,                 
della musica e del jazz.
"Dio quant'era bella Billie quella sera. E sì,
fu lo zio Bird (Charlie Parker) a farmi smet-
tere con l'eroina. Quanto all'oggi, ho il mio
seguito e mi basta".

(da 'la Repubblica' - 8 giugno 2014 - Giuseppe Videtti)
Il giorno dell'attacco alle Torri  era in casa, pochi 
metri da Ground Zero.  L'appartamento al ventesimo
piano fu invaso dalla polvere, una notte d'incubo sen-
za energia elettrica  ad aspettare i soccorsi, neanche
il telefono per chiamare  la moglie Lucille  che era ri-
masta nella casa di Germantown, pochi chilometri da
Manhattan. I ricordi più cari erano stati irrimediabil-
mente distrutti dai veleni sprigionati dal crollo quando
la mattina dopo arrivarono i soccorsi. I vigili del fuoco
gli dissero che per lui non c'era posto, che doveva as-
pettare l'arrivo di un altro veicolo.   "E' perchè sono 
nero, vero?", sbottò Sonny Rollins.  "Ebbi - come si 
dice in gergo psicanalitico? - una regressione", rac-
conta  il sassofonista, ottantatrè anni, il più  illustre 
sopravvissuto della storia del jazz.  "Dopotutto non
erano lontani i tempi in cui io e mia moglie avevamo
deciso di trasferirci in campagna perchè i matrimoni
tra neri e bianchi erano guardati di traverso anche a 
New York".  Lucille, compagna e manager di una vi-
ta, è morta nel 2004, ma la vedovanza non ha piega-
to il gigante del sax.    Vive in una casa più comoda
vicino Woodstock e si comporta come se di anni ne
avesse trenta.   Dischi, concerti, una casa discogra-
fica (la Doxy Records) che ha appena pubblicato il 
magnifico  Road Shows Volume 3, un sito  internet
aggiornatissimo, mille progetti nell'aria. "Mi aiuta-
no  yoga  e meditazione, ho incominciato a interes-
sarmi a buddismo e sufismo intorno al 1959, quan-
do con John Coltrane parlavamo per ore di filoso-
fie orientali".
Sonny Rollins

Barba e capelli bianchi, l'aspetto ancora imponente,
sul palcoscenico il colosso di sempre, nella vita una
torre di saggezza. Difficile  immaginarlo  devastato 
dall'eroina, detenuto nella prigione di Rikers Island
per furto a mano armata e successivamente, sprona-
to da Charlie Parker, a Lexington con un gruppo di
tossicodipendenti in riabilitazione sperimentale col
metadone - e tra una disavventura e l'altra suonare
da Dio nel quintetto di Miles Davis. "Fui così stupido
da pensare che senza droga non avrei mai suonato
come Charlie Parker", ammette oggi. Vivo, vegeto,
mai fuori moda, neanche quando il rock rese la vita
impossibile ai jazzisti.  I Rolling Stones, anzi, lo sup-
plicarono per averlo nell'album Tattoo You. Avrebbe
potuto sfruttare la situazione, invece non volle nean-
che essere citato sulle note di copertina.     "Me ne 
vergognavo, lo feci per compiacere mia moglie Lu-
cille, che era una loro fan. Suonai tre brani a patto
che non si sapesse in giro. Poi Mick Jagger mi ri-
chiamò, voleva che andassi in tour con loro. Rifiu-
tai categoricamente. Cosa abbiamo in comune?".

Giuseppe Videtti - 'Lei è nato nel ghetto nero di
Manhattan. Come fu trovarsi al centro della cul-
tura afroamericana in piena Harlem Renaissance?'
S. Rollins - "E' stata la cosa più meravigliosa che
potesse succedermi perchè mi ritrovai in fasce al
centro della musica: Fats Waller, Jimmy Lunceford,
Count Basie, Cab Calloway, Louis Jordan - fu lui il
primo a farmi sognare : un giorno suonerò il sasso-
fono come Louis, dicevo - Duke Ellington. Frequen-
tavo coetanei  che  sarebbero diventati  giganti del 
jazz : il batterista Art Taylor, il pianista Kenny Drew,
il sassofonista Jackie McLean. Sono cresciuto nel po-
sto giusto al momento giusto".
G. Videtti - 'Racconta che fu un concerto di Sinatra a
East Harlem a cambiarle la vita. Cosa ricorda di quel
giorno?'.
S. Rollins - "Frequentavo  una scuola  multirazziale, 
un edificio nuovo di zecca  frequentato  da ragazzi
neri, ebrei e italiani.  I fenomeni di bullismo erano
all'ordine del giorno, gli episodi di violenza sempre
più brutali e frequenti. Un bel giorno alla Benjamin
Franklin High School arrivò Sinatra: si girava un do-
cumentario per favorire l'integrazione.  Era il 1945, 
avevo quattordici anni.  "Ragazzi, fatela finita, ba-
sta farvi del male, fate qualcosa di buono nella vita,
tutto questo  non  vi porterà da nessuna parte, dob-
biamo  vivere  insieme, questa è l'America", disse 
prima di cantare The House I Live In - che anni do-
po avrei inserito nel mio repertorio.   Da quel mo-
mento è diventato il mio idolo".
G. Videtti - 'Ha suonato con artisti come  Charlie
Parker, Bud Powell, Thelonious Monk, John Col-
trane e Miles Davis.   Riuscì a stabiulire con tutti
un rapporto di amicizia?'.
S. Rollins - "Abbiamo trascorso insieme anni me-
morabili, condividendo praticamente tutto. Monk
ha un posto speciale nei ricordi, l'ho sempre con-
siderato il mio guru.  Ricordo quando ci si incon-
trava a casa sua. ho ancora  a mente  l'indirizzo.
243 West 63esima Street. Anche John Coltrane,
che conobbi più tardi, contribuì non poco alla mia
crescita artistica e spirituale. Stavamo dando inizio
a un nuovo movimento musicale, il be-bop, cui mol-
ti erano ostili. Ma noi eravamo un plotone che mar- 
ciava all'unisono. Inarrestabile. Imbattibile".
G. Videtti - 'Com'era la routine del jazzista? Duris-
sima e pericolosa come abbiamo letto nelle biogra-
fie di Charlie Parker e Chet Baker?'. 
S. Rollins - "Soldi in tasca non ne avevamo ma vo-
glia di suonare tanta.  Gli impresari  si rendevano
conto che l'avremmo fatto anche gratis. Traevano
profitto dalla nostra passione. Suonavamo soprat-
tutto nei night club, posti dove la gente andava a
ballare, finchè non arrivò Norman Granz (il fonda-
tore  dell'etichetta Verve, ndr)  e istituì  "Jazz at 
the Philharmonic", aprendo a tutti noi le porte di 
istituzioni  prestigiose  come  la Carmegie Hall.
Tutto merito della rivoluzione del be-bop".
G. Videtti - 'Miles Davis la chiamò a far parte del suo
quintetto; era un  leader  esigente  e  bellicoso  come 
raccontano?'.
contano?
S. Rollins - "Ci gelava dicendo:  'Non perdiamoci in
chiacchiere, se siete qui sapete già cosa dovete fare'.
Miles non mi ha mai detto cosa e come dovessi suo-
nare, dava la linea  e  si aspettava  che  lo  seguissi. 
Con lui eri un artista libero".
G. Videtti - 'Poi sarebbero arrivati dischi leggenda-
ri a suo nome, come Saxophone Colossus e Tenor 
Madness'...
S. Rollins - "La carriera andava a gonfie vele, la vita 
un pò meno. Alcol e eroina  avevano preso  il soprav-
vento. La vera svolta fu quando collaborai con Clifford
Brown e Max Roach, nel 1955. Chissà  come si sareb-
be evoluta la nostra storia se Clifford non fosse morto
pochi mesi dopo in quell'incidente, un genio strappa-
to al jazz a 25 anni:  senza Clifford  e  Max non sarei
mai arrivato  a  Saxophone Colossus, alla collabora-
zione con Coltrane in Tenor Madness e a quel concer-
to stellare alla Carnagie Hall, nel 1957; c'erano anche
Monk, Billie Holiday e Ray Charles.   Quella notte il 
jazz uscì dal recinto. Quant'era bella Billie! La adora-
vo. E quanto è stata maltrattata. E sa perchè? Perchè
lottava per i diritti civili, non certo perchè  faceva uso
di droghe. -     Tanti artisti bianchi erano eroinomani, 
Judy Garlan ad esempio, e non mi risulta  che  siano
mai stati crocifissi come Lady Day".
G. Videtti - 'Quanto era frustrante veder riconosciuto
il proprio talento al punto da esibirsi nel tempio della
musica classica e al contempo essere discriminato per
il colore della pelle?'.
S. Rollins - "Con quel problema avevo convissuto fin
da bambino. Mia nonna predicava instancabilmente
per i diritti civili, mi portava con sè in strada a prote-
stare, armata di megafono  e di cartelli. Per questo ho
sempre mantenuto stretti contatti con l'Africa;  già nel
1954 avevo scritto  e  inciso  (per il quartetto  di Miles 
Davis) 'Airegin', che vuol dire Nigeria al contrario.  Il
messaggio era: non vogliamo più essere trattati come
schiavi".
G. Videtti - 'Come ha vissuto l'elezione di Barack 
Obama?'. 
S. Rollins - "Avere un presidente di colore è un  fatto
epocale per gli Stati Uniti, ma Obama non è abbastan-
za a sinistra  per il ragazzo  della   Benjamin Franklin 
High School  che ha inciso  con Max Roacn  l'album
'Freedom Suite'. La sua politica non è radicale come
vorrei".
G. Videtti - 'Cosa gli ha detto quando nel 2011 le ha
conferito la National Medal of Arts and Humanities?'.
S. Rollins - "Gli ho confessato di non aver votato per
lui. Mi ha risposto: lo immaginavo, conosco bene la
sua musica". 
G. Videtti - 'Ma scusi, e per chi ha votato?' 
S. Rollins - "Per Dennis Kucinich (bianco, ndr), l'ex
sindaco di Cleveland, politicamente molto più in li-
nea col mio pensiero".
G. Videtti - 'Lei è nell'Olimpo del jazz con Davis,
Coltrane e Parker. Cosa vede quando si guarda
indietro?'.
S. Rollins - "Ricordo i tempi duri, quando mi drogavo
e finii in carcere in mezzo ai delinquenti comuni. Tra
il 1949 e il 1951 la mia vita fu un inferno, con una ter-
ribile ricaduta nel 1953. Fu quello l'anno in cui Charlie
Parker, proprio perchè ne conosceva  le conseguenze
nefaste, mi spinse a farla finita con l'eroina. Ero impe-
gnato in alcune registrazioni con lui e Miles.  Bird mi
chiese se ancora mi drogassi, e io mentii, dissi che 
ero pulito. Ma lui seppe da altri  che c'ero ancora den-
tro fino al collo. Mi bastò una sua occhiata - era come
uno zio per tutti noi - per decidere all'istante  di darci
un taglio.   L'anno  della risalita  fu proprio  quello, il 
1953".
G. Videtti - 'Oltre sessantacinque anni di carriera e
ancora on the road: è stato difficile adattare il suo 
linguaggio a generazioni diverse?'.
S. Rollins -  "Fortunatamente  mi sono sempre  consi-
derato un musicista incompiuto, mai portavoce di una
generazione nè un veterano del be-bop.  Ho il mio se-
guito e mi basta, non ho mai pensato di poter diventa-
re milionario facendo jazz. Altrimenti sarei andato in
tour con gli Stones".




Sonny Rollins ha suonato con:
Babs Gonzales  - 
Rollins debutta in "Weird Lullaby" ('49) del 
pioniere del vocalese. Imperdibile la versione
di 'Stompin at the Savoy'.
Bud Powell  -
Col leggendario pianista incise le session
"The Amazing Bud Powell": con, tra gli
altri, Fats Navarro, Tommy Potter e Roy
Haynes.
J.J. Johnson  -
Collabora col trombettista nel 1949
("Jazz Quartets") e poi nel 1957 ("Sonny
Rollins Vol. 2") per la Blue Note.
Miles Davis
Lunga la loro collaborazione: in "Dig" (1951),
"Collectors' Items" (1956), "Miles Davis and
Horns" ('56), "Bags' Groove". 

CONTINUA... to be continued...