giovedì 28 agosto 2014

TEATRO - Festival teatrale di Edimburgo

                                                                                      visione post - 33
La più importante manifestazione estiva                
nella città scozzese fino al 31 agosto
Tra cartellone ufficiale e Fringe, in questa
edizione abbondano gli spettacoli ispirati
al conflitto mondiale.

(da 'la Repubblica'  -  17 /08/'14 - CultSpettacoli /
Rodolfo Di Giammarco)
A Edimburgo si raccontano
le guerre di ieri e di oggi  
In che rapporto sono arte e società a Edimburgo, 
la più ampia piazza estiva mondiale di performance?
A 32 giorni dallo storico voto pro o contro l'indipen-
denza scozzese  del 18 settembre  non c'è  granchè 
segno di sfide tra secessionisti (tipo Sean Connery)
e unionisti (tipo Judy Dench e Mick Jagger)  nelle
affollatissime strade, nei sempre gremiti teatri del
Festival Internazionale e nella calca popolare e gio-
vanile di sale e spazi del Fringe Festival. 
La competizione più sentita è un'altra e sembra già
essere vinta: ormai la creatività, il motore di ricerca,
la presa generazionale, le presenze e gli oltre 1000
spettacoli  di scena  parlata/fisica  e  di danza   del 
Fringe (mercato libero del nuovo, con alcuni decisi-
vi teatri leader, vedi il Traverse) alimentano un fe-
nomeno che spesso fa più clamore della vetrina in-
tellettuale - priva dell'equivalente dei nomi di culto
di anni fa - del Festival, il cui direttore  australiano 
Jonathan Mills  passa  le consegne  per il 2015  al 
al connazionale Fergus Linhean. Ciò non toglie che
molti fari si siano accesi sulla prima guerra mondia-
le e le guerre in genere, argomento caldo di questi
giorni. 
Allora va detto di "The War" che, al Festival, è un 
mosaico di rapsodie ad opera del regista (finalmen-
te) russo  Vladimir Pankov  alla guida della compa-
gnia moscovita SounDrama Studio.  Lavoro fonda-
to su scritture  di Richard Aldington  e  di Nikolai
Gumilyov, con dichiarati richiami all'Iliade, si trat-
ta d'una epopea virtuosistica, raffinata, idealistica,
anche brechtiana e catastrofica, che prte da un Go-
ta parigino del 1913 (con  grnde lampadario a terra)
per misurarsi poi con i traumi bellici. Splendide im-
magini,  con un'estetica primeggiante sull'etica.
A dare più peso a una morale irrisolvibile della vio-
lenza e a propendere  per tecniche sperimentali  ci 
pensa, con un titolo a contrasto, "Small War" del-
l'olandese Valentin Dhaenens che al Fringe, al Tra-
verse Theatre,  emoziona  compostamente con  un 
uomo/nurse evocante pazienti incurabili  o morti in 
video, con parole che vanno da un discorso di Atti-
la a una testimonianza di una vittima recente in Af-
ghanistan.  Il discorso guerresco del Festival ha in
serbo  anche  l'apologo  "Ganesh versus the Third
Reich" dove la compagnia australiana Back to Back
mostra simbolicamente un elefantiaco dio Hindu che
reclama a Hitler (con sagoma alla Cattelan) l'esclu-
siva del proprio  emblema di culto  trasformato dai 
nazisti in svastica, ma essendo  quattro  quinti  del 
cast composti da attori disabili, colpisce più di tutto 
l'accusa rivolta alla platea "Siete venuti qui per ve-
dere uno freak show". 
Sempre al Festival, strizza l'occhio alla Scozia la tri-
logia storiografica umanizzata "James I, James II
e James III" di Rona Munro, un totale  di 7 ore  e
mezza (coprodotto  da National Theatre of Scotland
e National Theatre of Great Britain),  che trasforma
in arena l'impianto, con banchetti, battaglie, talami,
parlamenti  e omicidi dal 1421 al 1488, stile fiction,
potenti interpreti, e una magistrale Sofie Grabol.
Ma il conflitto più duro, il Festival lo propone nel-
l'installazione "vissuta" Exhibit B di Brett Bailey,
con una mostra  impressionante   di occhi  mobili
sgranati da performer di colore in una galleria di
gabbie e orrori di cui è responsabile l'Occidente,
nei panni di gente castrata o di detenuti morti nei
respingimenti su moderni aerei.   Da parte sua, il
Fringe concentra  in modo autorevole  il top della 
minaccia e della mostrificazione  delle guerre vir-  
tuali future (smascherate da Edward Snowden) in
Light di George Mann, dove  il controllo  dei cer-
velli è questione di schegge di luce applicate o e-
stratte dalla testa, nel buio più assoluto: una mac-
china inimitabile, formidabile, deprecabile.


Lucianone

Cultura - Il premio Nobel Desmond Tutu


LA CONFESSIONE  
DEL  PREMIO NOBEL 
Desmond Tutu
"Perdono mio padre, il Sudafrica          
e me stesso"                                      visioni post - 45

(da 'la Repubblica' - R2 Cultura / 27 marzo 2014)
di 
Desmond Tutu
Ci sono state moltissime sere , quando ero bambino,
in cui dovetti assistere senza poter fare nulla a mio
padre che insultava e picchiava mia madre. Ricordo
ancora l'odore di alcol, vedo ancora la paura negli
occhi di mia madre e sento ancora la disperazione
infinita che proviamo quando vediamo persone che
amiamo farsi del male a vicenda in modi che non
riusciamo a comprendere.    E' un'esperienza che 
non  augurerei  a nessuno, e meno che mai a un
bambino.
Vedo il viso di mia madre e vedo questo essere umano
gentile, che amavo tantissimo e che non aveva fatto
nulla per meritarsi  la sofferenza  che le veniva in-
flitta. Quando rievoco questa storia, mi rendo conto 
di quanto sia difficile perdonare veramente. A livel-
lo intellettuale, so che mio padre causava sofferenza
perchè lui stesso soffriva. A livello spirituale, so che
la mia fede mi dice che  mio padre  merita di essere
perdonato come Dio perdona tutti noi. 
Ma è comunque difficile. I traumi a cui abbiamo
assistito o che abbiamo sperimentato  vivono nei
nostri ricordi.Perfino a distanza di anni, possono
causarci nuovo dolore ogni volta che li rievochia-
mo.
Se scambiassi la mia vita con quella di mio padre,
se avessi provato le tensioni e le pressioni che provò 
lui, se avessi dovuto sopportare i fardelli che provò
lui, mi sarei comportato come si è comportato lui?
Non lo so. La mia speranza è che sarei stato diver-
so, ma non lo so.
Mio padre è morto da molto tempo, ma se oggi potessi
parlargli vorrei dirgli che lo avevo perdonato. Che co-
sa gli direi?  Comincerei ringraziandolo  per tutte le
cose meravigliose che faceva per me come padre, ma
poi gli direi che c'è questa cosa che mi faceva molto
male. Gli direi quanto mi feriva quello che faceva a
mia madre, quanto mi faceva soffrire. 
Forse mi ascolterebbe fino in fondo, forse no. Ma
comunque lo perdonerei. 
Il perdono richiede pratica, sincerità, apertura men-
tale e disponibilità (anche se faticosa) a provare. Non
è semplice. Forse avete giù provato a perdonare qual-
cuno e non ci siete riusciti. Forse avete perdonato  e
la persona perdonata non ha dimostrato rimorso, nè
ha modificato il suo comportamento o ammesso i suoi
torti, e voi vi trovate di nuovo a non riuscire a perdo-
nare. E' perfettamente normale  voler  fare del male
quando si è subito del male. Ma restituire male per
male raramente dà soddisfazione. Pensiamo che ci
darà soddisfazione, ma non è così.
Negli anni '60, il Sudafrica  era  nella morsa   del-
l'apartheid. Quando il Governo promulgò il Bantu
Education Act, istituendo un sistema scolastico di
grado inferiore per i bambini neri, io e Leah smet-
temmo di insegnare in segno di protesta. Giuram-
mo che avremmo fatto tutto quello che era in no-
stro potere per garantire che i nostri figli non fos-
sero mai sottoèposti a quel lavaggio del cervello 
che in Sudafrica spacciavano per istruzione. 
Iscrivemmo i nostri figli nelle scuole del confinante
Swaziland. Sei volte all'anno percorrevamo in auto
i quasi  mille chilometri  che separano Alice, nella
provincia del Capo Orientale, da Krugersdorp, vici-
no Johannesburg, dove vivevano i miei genitori.
Dopo aver trascorso la notte da loro, guidavamo 
altre cinque ore fino allo Swaziland, lasciavamo
o prendevamo i bambini alle rispettive scuole  e
tornavamo a Krugersdorp per fare tappa, prima 
le lungo viaggio di ritorno verso casa. Non c'e-
ra nessun albergo o locanda che accettasse clien-
ti neri, per nessun prezzo.
Durante uno di questi viaggi, mio padre mi disse che 
voleva parlare.  Io ero sfinito.  Eravamo  a metà  del
viaggio e avevamo guidato 10 ore per lasciare i bam-
bini a scuola. Il sonno si faceva sentire. Avevamo an-
cora altre 15 ore di viaggio da fare per tornare a casa
nostra, ad Alice. Guidare attraverso il Karoo, la va-
sta distesa semideserta al centro del Sudafrica, era
sempre sfiancante. Dissi a mio padre che ero stanco
e avevo mal di testa. "Parleremo domani mattina",
gli dissi. Andammo nella casa della madre di Leah,
a mezz'ora da lì. Il mattino dopo, mia nipote venne
a svegliarci con la notizia che mio padre era morto.
Ero sconvolto dal dolore. Amavo molto mio padre
e anche se il suo carattere mi causava grandi sof-
ferenze, c'era in lui molto amore, saggezza, intel-
ligenza. E poi c'era il senso di colpa. Con la sua
morte improvvisa non avrei mai potuto ascoltare
quello che voleva dirmi. Forse aveva un gran pe-
so sul cuore che voleva rimuovere? Forse voleva 
chiedere scusa per le angherie che aveva inflitto
a mia madre quando ero bambino? Non lo saprò
mai. Mi ci sono voluti moltissimi anni per perdo-
narmi per la mia insensibilità, per non aver fatto
omaggio a mio padre un'ultima volta di quei po-
chi istanti  che  voleva  condividere  con me.  Il
senso di colpa mi brucia ancora.
Quando ripenso a quegli anni lontani, alle sue
sfuriate da ubriaco, mi rendo conto che non era
solo con lui che ero arrabbiato. Ero arrabbiato
con me stesso. Rannicchiato in un angolo, spa-
ventato, non ero in grado di fronteggiare mio
padre e proteggere mia madre. E così, a molti
anni di distanza, mi rendo conto che non devo
perdonare solo mio padre, devo perdonare me 
stesso. 
Una vita umana è uno splendido intreccio di
bontà, bellezza, crudeltà, sofferenza, indiffe-
renza, amore e tantissimo altro. Tutti noi pos-
sediamo le caratteristiche di fondo della natura
umana, e dunque a volte siamo generosi e a vol-
te egoisti, a volte siamo premurosi e a volte scon-
siderati, a volte siamo gentili  e  a volte crudeli.
Questa non è un'opinione, è un fatto.
Nessuno nacse bugiardo, o stupratore, o terro-
rista. Nessuno nasce pieno di odio. Nessuno nasce
pieno di violenza. Nessuno nasce con meno gloria
o meno bontà di voi o di me.  Ma  ogni  giorno, in
ogni situazione, in ogni dolorosa esperienza di vi-
ta, questa gloria e questa bontà possono essere di-
menticate, messe in ombra, perdute. E' facile farci
soffrire, distruggerci, ed è bene ricordarsi che è al-
trettanto facile   essere quelli che fanno soffrire e
distruggono.
La semplice verità è che  tutti commettiamo degli
errori e tutti abbiamo bisogno di essere perdonati.
Non esiste una bacchetta magica  da agitare  per
tornare indietro nel tempo e cambiare quello che
è successo o cancellare  il male  che è stato fatto,
ma possiamo fare tutto quello che è in nostro po-
tere per correggere  le cose  che sono state fatte
male. Possiamo sforzarci di fare in modo che il
male non accada di nuovo.
Ci sono momenti   in cui tutti noi  abbiamo agito
in modo sconsiderato, egoista o crudele. Ma nes-
suna azione è imperdonabile, nessuna persona è
irredimibile.  Eppure non è facile  ammettere  i 
propri torti e chiedere perdono. "Ti chiedo scusa"
sono forse le tre parole più difficili da pronuncia-
re.

Continua... to be continued...