giovedì 28 agosto 2014

Cultura - Il premio Nobel Desmond Tutu


LA CONFESSIONE  
DEL  PREMIO NOBEL 
Desmond Tutu
"Perdono mio padre, il Sudafrica          
e me stesso"                                      visioni post - 45

(da 'la Repubblica' - R2 Cultura / 27 marzo 2014)
di 
Desmond Tutu
Ci sono state moltissime sere , quando ero bambino,
in cui dovetti assistere senza poter fare nulla a mio
padre che insultava e picchiava mia madre. Ricordo
ancora l'odore di alcol, vedo ancora la paura negli
occhi di mia madre e sento ancora la disperazione
infinita che proviamo quando vediamo persone che
amiamo farsi del male a vicenda in modi che non
riusciamo a comprendere.    E' un'esperienza che 
non  augurerei  a nessuno, e meno che mai a un
bambino.
Vedo il viso di mia madre e vedo questo essere umano
gentile, che amavo tantissimo e che non aveva fatto
nulla per meritarsi  la sofferenza  che le veniva in-
flitta. Quando rievoco questa storia, mi rendo conto 
di quanto sia difficile perdonare veramente. A livel-
lo intellettuale, so che mio padre causava sofferenza
perchè lui stesso soffriva. A livello spirituale, so che
la mia fede mi dice che  mio padre  merita di essere
perdonato come Dio perdona tutti noi. 
Ma è comunque difficile. I traumi a cui abbiamo
assistito o che abbiamo sperimentato  vivono nei
nostri ricordi.Perfino a distanza di anni, possono
causarci nuovo dolore ogni volta che li rievochia-
mo.
Se scambiassi la mia vita con quella di mio padre,
se avessi provato le tensioni e le pressioni che provò 
lui, se avessi dovuto sopportare i fardelli che provò
lui, mi sarei comportato come si è comportato lui?
Non lo so. La mia speranza è che sarei stato diver-
so, ma non lo so.
Mio padre è morto da molto tempo, ma se oggi potessi
parlargli vorrei dirgli che lo avevo perdonato. Che co-
sa gli direi?  Comincerei ringraziandolo  per tutte le
cose meravigliose che faceva per me come padre, ma
poi gli direi che c'è questa cosa che mi faceva molto
male. Gli direi quanto mi feriva quello che faceva a
mia madre, quanto mi faceva soffrire. 
Forse mi ascolterebbe fino in fondo, forse no. Ma
comunque lo perdonerei. 
Il perdono richiede pratica, sincerità, apertura men-
tale e disponibilità (anche se faticosa) a provare. Non
è semplice. Forse avete giù provato a perdonare qual-
cuno e non ci siete riusciti. Forse avete perdonato  e
la persona perdonata non ha dimostrato rimorso, nè
ha modificato il suo comportamento o ammesso i suoi
torti, e voi vi trovate di nuovo a non riuscire a perdo-
nare. E' perfettamente normale  voler  fare del male
quando si è subito del male. Ma restituire male per
male raramente dà soddisfazione. Pensiamo che ci
darà soddisfazione, ma non è così.
Negli anni '60, il Sudafrica  era  nella morsa   del-
l'apartheid. Quando il Governo promulgò il Bantu
Education Act, istituendo un sistema scolastico di
grado inferiore per i bambini neri, io e Leah smet-
temmo di insegnare in segno di protesta. Giuram-
mo che avremmo fatto tutto quello che era in no-
stro potere per garantire che i nostri figli non fos-
sero mai sottoèposti a quel lavaggio del cervello 
che in Sudafrica spacciavano per istruzione. 
Iscrivemmo i nostri figli nelle scuole del confinante
Swaziland. Sei volte all'anno percorrevamo in auto
i quasi  mille chilometri  che separano Alice, nella
provincia del Capo Orientale, da Krugersdorp, vici-
no Johannesburg, dove vivevano i miei genitori.
Dopo aver trascorso la notte da loro, guidavamo 
altre cinque ore fino allo Swaziland, lasciavamo
o prendevamo i bambini alle rispettive scuole  e
tornavamo a Krugersdorp per fare tappa, prima 
le lungo viaggio di ritorno verso casa. Non c'e-
ra nessun albergo o locanda che accettasse clien-
ti neri, per nessun prezzo.
Durante uno di questi viaggi, mio padre mi disse che 
voleva parlare.  Io ero sfinito.  Eravamo  a metà  del
viaggio e avevamo guidato 10 ore per lasciare i bam-
bini a scuola. Il sonno si faceva sentire. Avevamo an-
cora altre 15 ore di viaggio da fare per tornare a casa
nostra, ad Alice. Guidare attraverso il Karoo, la va-
sta distesa semideserta al centro del Sudafrica, era
sempre sfiancante. Dissi a mio padre che ero stanco
e avevo mal di testa. "Parleremo domani mattina",
gli dissi. Andammo nella casa della madre di Leah,
a mezz'ora da lì. Il mattino dopo, mia nipote venne
a svegliarci con la notizia che mio padre era morto.
Ero sconvolto dal dolore. Amavo molto mio padre
e anche se il suo carattere mi causava grandi sof-
ferenze, c'era in lui molto amore, saggezza, intel-
ligenza. E poi c'era il senso di colpa. Con la sua
morte improvvisa non avrei mai potuto ascoltare
quello che voleva dirmi. Forse aveva un gran pe-
so sul cuore che voleva rimuovere? Forse voleva 
chiedere scusa per le angherie che aveva inflitto
a mia madre quando ero bambino? Non lo saprò
mai. Mi ci sono voluti moltissimi anni per perdo-
narmi per la mia insensibilità, per non aver fatto
omaggio a mio padre un'ultima volta di quei po-
chi istanti  che  voleva  condividere  con me.  Il
senso di colpa mi brucia ancora.
Quando ripenso a quegli anni lontani, alle sue
sfuriate da ubriaco, mi rendo conto che non era
solo con lui che ero arrabbiato. Ero arrabbiato
con me stesso. Rannicchiato in un angolo, spa-
ventato, non ero in grado di fronteggiare mio
padre e proteggere mia madre. E così, a molti
anni di distanza, mi rendo conto che non devo
perdonare solo mio padre, devo perdonare me 
stesso. 
Una vita umana è uno splendido intreccio di
bontà, bellezza, crudeltà, sofferenza, indiffe-
renza, amore e tantissimo altro. Tutti noi pos-
sediamo le caratteristiche di fondo della natura
umana, e dunque a volte siamo generosi e a vol-
te egoisti, a volte siamo premurosi e a volte scon-
siderati, a volte siamo gentili  e  a volte crudeli.
Questa non è un'opinione, è un fatto.
Nessuno nacse bugiardo, o stupratore, o terro-
rista. Nessuno nasce pieno di odio. Nessuno nasce
pieno di violenza. Nessuno nasce con meno gloria
o meno bontà di voi o di me.  Ma  ogni  giorno, in
ogni situazione, in ogni dolorosa esperienza di vi-
ta, questa gloria e questa bontà possono essere di-
menticate, messe in ombra, perdute. E' facile farci
soffrire, distruggerci, ed è bene ricordarsi che è al-
trettanto facile   essere quelli che fanno soffrire e
distruggono.
La semplice verità è che  tutti commettiamo degli
errori e tutti abbiamo bisogno di essere perdonati.
Non esiste una bacchetta magica  da agitare  per
tornare indietro nel tempo e cambiare quello che
è successo o cancellare  il male  che è stato fatto,
ma possiamo fare tutto quello che è in nostro po-
tere per correggere  le cose  che sono state fatte
male. Possiamo sforzarci di fare in modo che il
male non accada di nuovo.
Ci sono momenti   in cui tutti noi  abbiamo agito
in modo sconsiderato, egoista o crudele. Ma nes-
suna azione è imperdonabile, nessuna persona è
irredimibile.  Eppure non è facile  ammettere  i 
propri torti e chiedere perdono. "Ti chiedo scusa"
sono forse le tre parole più difficili da pronuncia-
re.

Continua... to be continued...

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