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(da LA LETTURA/ Corriere della Sera - 6 dic. 2020 -
di Costanza Rizzacasa D'Orsogna)
di Costanza Rizzacasa D'Orsogna)
Il saggista Michael Gorra difende il valore dello
scrittore che nel 1949 vinse il Nobel, oggi accu-
sato di avere dato voce al Sud schiavista: "I suoi
limiti sono una versione dei nostri". E infatti anche
l'afroamericana Toni Morrison lo ammirava.
Toni Morrison , che gli aveva dedicato la tesi del Master in
letteratura americana, ne ammirava l'implacabilità nell'inda-
letteratura americana, ne ammirava l'implacabilità nell'inda-
gare il passato. "Leggo William Faulkner per conoscere gli
Stati Uniti - in un modo che i libri di storia non permettono
di fare". Nel 2016, commentando la vittoria di Trump, os-
servò che Faulkner aveva capito meglio di chiunque altro
come la perdita dei propri privilegi apparisse ai bianchi
"così spaventosa da precipitarsi verso una piattaforma po-
litica che promuove la violenza sugli indifesi". Oggi Faul-
kner, come altri (Ma quant'era razzista Flannery O'Connor?,
titolava il "New Yorker" pochi mesi fa), lo si vorrebbe can-
cellare. Uno dei più grandi scrittori americani, Nobel per
la letteratura nel '49, è diventato scomodo e va perciò ri-
mosso dalle letture consigliate a scuola e all'università.
L'accusa? Non aver rinnegato il razzismo di sistema. Ma
è giusto Faulkner, nato nel Mississippi del 1897 e vissu-
to durante la segregazione, con la sensibilità odierna? E'
giusto condannarlo se l'America stessa, cent'anni dopo,
con quel razzismo stenta ancora a fared i conti? UN
saggio di Michael Gorra, studioso di Faulkner e docen-
te di letteratura americana allo Smith College (The Sad-
dest Words: William Faulkner's Civil War), prende le di-
fese dell'autore, dimostrando che se Faulkner non potè
sfuggire alle aberrazioni del suo tempo, ne fu sempre
tormentato, e nei suoi libri riuscì a emanciparsene.
The Saddest Words rilegge Faulkner attraverso la
Guerra Civile (1861-65), "la guerra infinita", che
Faulkner raccontò in 19 romanzi e oltre cento rac-
conti. Un lavoro che, nelle parole di Morrison, è il
risultato del rifiuto dell'autore di distogliere lo
sguardo dal terribile lascito della propria terra. At-
traverso la continua rivisitazione di storie e perso.
naggi sella fittizia contea di Yoknapatawpha, pre-
quel, sequel e spinoff, Faulkner racconta il Sud,
dalle piantagioni di cotone al mito della Lost
Cause (la causa persa della Guerra Civile), e le
sue scioccanti verità. Nel farlo, racconta l'Ame-
rica. - Vero, Faulkner può apparire offensivo,
Il linguaggio razzista permea i suoi romanzi, Ma
non perchè Faulkner fosse razzista (e lo era, co-
me lo sarebbestato allora, qualunque pronipote
di un colonnello schiavista dei Confederati),
quanto perchè, osserva Gorra, voleva riportare
fedelmente il linguaggio abominevole della
cultura bianca. Altra obiezione spesso mossa
a Faulkner è come possano i suoi libri essere
considerati grandi romanzi sul razzismo se
non hanno protagonisti neri. Lo sono perchè, come
scriverà James Baldwin, "la condizione del negro
in America è una forma di follia che copisce i bian-
chi". E nessuno ha raccontato quella follia meglio
di Faulkner. Come avrebbe potuto, del resto, Faul-
kner, sapere che cosa volesse dire essere nero? La
sua grandezza sta nel raccontare le vergogne dei
bianchi. Vero, mancano le frustate, la separazione
delle famiglie che la vendita di schiavi comportava;
i neri di Faulkner, pur molto diversi dalle caricatu-
re di tanta letteratura bianca del Sud dell'epoca, so-
no bidimensionali. Al contempo i suoi racconti de-
gli schiavi che fuggono vrso la libertà non hanno
eguali e anticipano la storiografia moderna.
Faulkner non è un apologeta del Vecchio Sud.
Forse, il racconto più potente che Faulkner fa
della Guerra Civile si trova in Assalonne, Assa-
lonne (1936). Dove l'incesto è meno tabù, per
una famiglia dell'alta borghesia del Sud, di quel-
la goccia di sangue nero che infangherebbe il
proprio lignaggio. "Non è l'incesto che trovi in-
tollerabile - dice Charles Bon a Henry Sutpen
prima che questi lo uccida - è l'incrocio di razze".
Non che le idee di Faulkner non fossero proble-
matiche. Certe sue dichiarazioni in termini di
giustizia e progresso spociale erano sconcertanti.
In un'intervista del 1956 affermò che se il Sud
fosse stato costretto a integrarsi, sarebbe sceso
in strada col fucile e non avrebbe esitato ad am-
mazzare dei neri (parole pronunciate, pare, in
stato di ubriachezza, e poi smentite). E se da un
lato condannava i linciaggi, chiedeva che il mo-
vimento per i diritti civili procedesse senza l'ur-
genza auspicata da Martin Luther King, per per-
mettere la "salvezza morale" del Sud. Fu Baldwin
a rispondergli, osservando che quella salvezza sa-
rebbe stata possibile solo a costo di posticipare la
giustizia per i neri, cosa non più concepibile.
Recensendo il saggio di Gorra per l'"Atlantic",
Drew Gilpin Faust, presidente emerita dell'Uni-
versità di Harvard e autrice di un importante testo
sulla Guerra civile (This Republic of Suffering:
Death and the American Civil War), ricorda che
Assalonne, Assalonne! uscì lo stesso anno di Via
col Vento, con ben altre fortune. "Furono i chiari
di luna e le magnolie di Via col Vento ad attirare
il plauso del pubblico - nota - e non il ritratto bru-
ciante dell'eredità della schiavitù fatto da Faulkner.
Margaret Mitchell, non Faulkner, vinse il Pulitzer".
necessaria e benigna: era questa la visione del tempo.
ma è soprattutto per le sue mancanze, non a dispetto
di esse, che dobbiamo coninuare a leggere Faulkner.
"L'idea di cancellare Faulkner - spiega Gorra a "la
Lettura" - si fonda sulla convinzione che nelle stesse
circostanze saremmo stati migliori. Ma i suoi liniti
sono una versione dei nostri, prodotto ed emblema
di un passato che ha formato generazioni di ameri-
cani. Faulkner non avrebbe potuto capire la società
del tempo se non ne avesse fatto parte, e la sua ri-
pugnanza, per quel mondo e per sè stesso, è visce-
rale e fortissima".