lunedì 21 dicembre 2015

Musica - Un' arrabbiata doc: Dee Dee Bridgewater


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       Visione post - 200

Parole della piccola D.D. Bridgewater:
"Quando avevo sette anni  riunii  la mia famiglia 
e dissi solennemente: voglio fare la cantante jazz,
voglio andarmene a Parigi e voglio diventare
una star".
Parole della grande D.D. Bridgewater:
"Sì, sono una donna serena e realizzata, ma 
sono anche molto arrabbiata: bisogna fare
una enorme fatica per farsi strada in un
ambiente così macho business e razzista.
Quanto agli uomini, giuro mai più".


(da 'la Repubblica' - 31/ 10/ '15  - L'incontro /
Lottatrici  -  Giuseppe Videtti)

Il teatro è vuoto. I musicisti riuniti sul palco. E' l'ora
delle prove, pomeriggio prima del concerto. "Non per-
dete il controllo. MAI! Se lo fate siete fottuti, lo spetta-
colo è fottuto, la serata è fottuta".  E' il boss che parla,
una lady di ferro. Testa rasata a zero, sessantacinque
anni appena compiuti, ancora molto sexy,  Dee  Dee
Bridgewater ha attraversato Quasi mezzo secolo di
jazz; sa che tra poco la Volkswagen Arena di Istan-
bul si riempirà di tremila persone che penderanno
dalle sue labbra. Niente errori alla sua età e con la
sua reputazione. Si avvicina, strizza l'occhio: "Ho
imparato la lezione a vent'anni ", mi bisbiglia al-
l'orecchio. "Al Village Vanguard di New York ero
la sua ombra. Non mi permetteva di assistere alle
prove, ma io sbirciavo.  Ero affascinata  da come 
gestiva i suoi affari, un'artista indie  ante litteram:
produceva i suoi dischi, aveva la sua etichetta. Ho
sempre voluto essere come lei, libera e rispettata".
Torna tra i suoi musicisti, e a quel punto sono so-
lo abbracci e strette di mano e occhiate d'intesa.
La tensione si scioglie come miele nel latte caldo
quando Dee Dee prova per intero una sola canzone,
The Music Is the Magic di Abbey Lincoln ("La Billie
Holiday della nostra generazione"). Non ancora con-
certo ma già sublime:  "La musica è la magia  di un
mondo sacro/ un mondo che è sempre dentro di noi"
ripete  con  un impareggiabile, elegante, sensuoso
fraseggio.  E' una delle canzoni in programma, in.-
sieme alle perle del nuovo Dee Dee's Feathers (Ed.
Okeh Sony), l'album dedicato a New Orleans e rea-
lizzato con l'orchestra del giovane Irvin Mayfield,
band leader con due Grammy alle spalle  che ha
perso il padre durante Katrina. "E' stata un'espe-
rienza molto toccante", racconta Dee Dee, "abbia-
mo inciso all'Esplanade, una vecchia chiesa distrut-
ta dall'uragano riadattato a studio di registrazione,
un posto magico". Dee Deeìs Feathers, al quale han-
no collaborato Dr. John  e  Harry Connick Jr., è il 
disco che la riconcilia  con gli Usa  dopo tanti anni
trascorsi in Francia. Ora vive a Los Angeles, ha 2
nipotini dalla figlia dalla figlia maggiore Tulani e
collabora con China Moses, avuta dal secondo ma-
rito (Gabriel Durand, nato dal matrimonio parigino,
l'accompagna spesso alla chitarra).

"Mia madre mi ha confidato che a sette anni riunii la
famiglia e dissi solennemente: ' Voglio fare la cantante
jazz, voglio trasferirmi a Parigi e voglio diventare una
star internazionale'.
"Pare che il sogno si sia avverato", racconta  rilas-
sandosi nel camerino dove già incominciano ad ar-
rivare mazzi di fiori (Istanbul è un tripudio di colori
per l'annuale festival dei tulipani). I suoi non si stu- 
pirono più di tanto, il jazz era di casa. "Mio padre,
un uomo bellissimo, suonava la tromba, accompa-
gnò anche Dinah Washington in più di una occasio-
ne. Ho dei ricordi fantastici di me e mia madre che
gli correvamo dietro per tener sotto controllo le sue
scappatelle".  A Parigi  ci sarebbe  finita  davvero, 
molti anni dopo, da star. Prima ci sarebbero stati
l'università, la fuga dal Michigan e il precoce ma-
trimonio con Cecil Bridgewater, trombettista, co-
me quel padre casanova che lasciava troppo sole
le donne di casa.  "Nei primi anni Settanta ero già 
una pasionaria del jazz", ricorda. "Mi trasferii con
Cecil a New York. Il Village Vanguard diventò
la mia chiesa, il mio motto era: non vado a messa
la domenica, vado al Vanguard il lunedì.   Presi il
coraggio a quattro mani e dissi a Mel Lewis: senti,
io sono molto meglio della cantante che avete.  Il
lunedì successivo mi convocarono per un'audizio-
ne al Village Vanguard, cantai Bye Bye Blackbird
e Eveyday I Have the Blues.  Fui scritturata all'i-
stante dalla band di Thad Jones e Mel Lewis".
A quel punto persino il rifiuto subito dalla Motown
a sedici anni le sembrò  una storia remota  e irrile-
vante paragonata al percorso entusiasmante  che
stava intraprendendo con artisti come Sonny Rol-
lins, Dexter Gordon, Max Roach, Nat Adderley Jr., 
Horace Silver e Stanley Clarke mentre si prepara-
va a incidere il suo primo album, Afro Blue (1974),
oggi un cult per i jazzofili.

Nonostante i tentativi  di affermarsi  con canzoni più
commerciali, il destino di Dee Dee era scritto nel gran-  
de libro del jazz.  A vent'anni  aveva chiaro  in mente
uello che avrebbe voluto essere: intensa come Nina Si-
mone, accattivante come Johnny Mathis, militante co-
me Harry Beòlafonte, esplosiva come Nancy Wilson,
indipendente come Betty Carter, sensuale come Dia-
hann Carroll e Lena Horne. Troppe virtù in una sola
cantante. Il mondo della musica era un macho busi-
ness, e lei non era ancora la lady di ferro, nonostan-
te il Tony Award  avuto nel 1975  per il suo exploit  
in The Wiz a Broadway  (i tre Grammy sarebbero
arrivati a partire dagli anni Novanta con i tributi
a Ella Fitzgerald e Billie Holiday). "All'epoca era 
molto in voga il couch casting: vale a dire che qual-
siasi produttore provava a stenderti sul divano pri-
ma di darti la parte. Mi ero appena trasferita a Los 
Angeles quando ebbi un incontro con il vicepresi-
dente di una multinazionale. Mi invitò nel suo uffi-
cio - Dio, non lo dimenticherò mai! - le foto della
moglie e dei figli sparse ovunque, sulla scrivania
sulle pareti. A brutto muso mi chiese: vuoi diven-
tare la mia amante? Io imbarazzata: ma lei è sposa-
E lui: infatti, ho detto amante! Rifiutai e l'album fu
archiviato. A casa  l'atmosfera non era migliore.
Gilbert Moses , mio marito, un regista famoso e 
psicologicamente violento nei miei confronti, mi
teneva lontana dalle scene in maniera umiliante.
Fu per togliermi quel giogo dal collo che rifugiai
in Europa".   L'occasione fu l'ingaggio nel musical
Sphisticated Ladies e, successivamente in Lady Day,
spettacolo dedicato a Billie Holiday che le riaprì le
porte della discografia. "Avevo un debito nei con-
fronti di Billie. La prima volta che l'ascoltai dissi,
non sa cantare, non ha l'estensione di Ella, di Sa-
rah Vaughan o di Carmen McRae. Poi lessi l'auto-
biografia: fu la sua vita a parlarmi. Cominciai in 
maniera maniacale a scovare similitudini: lei vio-
lentata, io violentata; lei abusata  dalle suore  in 
una scuola cattolica, io anche; lei sfruttata dagli
uomini, io irrimediabilmente attratta da... gang-
ster e papponi", confessa con una smorfia di di-
sgusto.  "Quale altra donna  avrebbe insistito a
cantare una protesta violenta come Strange Fruit
in un periodo così difficile per gli afroamericani,
quando il razzismo  era così spietato  da vietarci
l'ingresso dalla porta principale?  Dopo Strange
Fruit cominciò a essere perseguitata dalla polizia, 
fu bandita dai night club di New York. Non fu solo
l'eroina a distruggerla, ammesso che sia stata mor-
te naturale e non un complotto come molti musici-
sti che lavorarono con lei mi hanno fatto intendere".
Scoppia a piangere, singhiozza come una bambina.
"Sono arrabbiata, molto arrabbiata. Quando pensi
alla sua vita, a quella di tanti  altri  afroamericani
non ti meravigli di quel che è successo a Cleveland.
Il razzismo non è mai finito.  Ora che abbiamo un
presidente afroamericano il partito repubblicano
ha buttato giù la maschera e si è rivelato per quel-
lo che è, spudoratamente razzista".
Dee Dee Bridgewater restò in Europa perchè in
America non c'erano parti in teatro per attrici e 
cantanti di colore. "E per amore", confessa. "A
Parigi incontrai l'uomo che sarebbe diventato il
mio terzo  e  ultimo marito, il produttore Jean-
Marie Durand.  Lasciai Parigi dopo vent'anni,
nel 2007, quando cominciai a sentire anche lì
puzza di razzismo. I critici fecero a pezzi il mio
J'ai deux amours, il mio disco francese, , salvo 
poi portare alle stelle Diana Krall.   Solo dopo
l'uscita di Red Earth - l'album realizzato in Malì
alla ricerca delle mie radici - ho avuto la mia ri-
vincita. Ma a quel punto l'amore non c'era più
e io ero pronta a tornare in patria".   Neanche
Parigi è riuscita a tenerla al riparo dal machi-
smo del music business. Truffata da "un mana-
ger che si rivelò un aspide", non ebbe una lira
dalle vendite milionarie di Till the Next Some-
where, il duetto inciso con Ray Charles nel 1989.
"La vicenda finì in tribunale. Negli anni del pro-
cesso solo Ray cercò di confortarmi. 'Ricorda, ci
saranno  centinaia  di manager, ma c'è una sola 
Dee Dee Bridgewater', mi disse.     'Appartieni al
pubblico, è per lui che devi restare la numero uno,
e avrai  una carriera  per tutta la vita'. Ed eccomi
qui, a un punto dove non avrei mai creduto di ar-
rivare. Serena, realizzata e senza marito. Uomini?
Giuro, mai più".



 Lucianone

Sezione personale - Le mie poesie (1970-1972 / 1977)


Prima raccolta di poesie                   visione post - 45
                     
          Luciano Finesso



--- ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
                                                - Eugenio Montale -

                                   
                         ATTIMO per ATTIMO

La madre

La pioggia batteva sui vetri.
La madre piangeva:
il figlio Giovanni era al fronte.
La madre fissava:
un punto lontano guardava.
Il figlio Francesco era al fronte.

La pioggia bagnava lenta...
la madre asciugava
due pupille già bagnate.
I suoi due figli erano morti.

Il sole splendeva nella stanza:
la madre lentamente chiudeva
due inanimate pupille.                           1970


Vedo il vuoto  

Vedo il vuoto
e mi commuovo senza ragione
Vedo il vuoto
nel senso eterno della vita
vedo te
nel fondo di cristallo lucente.
Vedo il vuoto
in ordine apparirmi davanti,
vedo il vuoto
in visione di soldati morenti.
Vedo te
correre supplicando verso di me.

Vedo il vuoto
e non amo la guerra,
vedo il vuoto
nell'azzurro di tanti tuoi baci.
Vedo te
che piangi i soldati morenti.
Vedo il vuoto
e con te piango
tutti i soldati morti e non sepolti.             1970

Bevi l'acqua

Bevi l'acqua
nel cavo della mano...
un fiore.
Bevi l'acqua
Mentre tutti si scannano fuori
E uno solo piange qui
Sul cavo della mano,
triste.
Bevi l'acqua
che scorre sulla roccia...
un soldato.
Bevi l'acqua
mentre urla di sangue
colano dal soffitto
sul cavo della mano,
sconsolato,
mi rifugio nel bunker.                           1970

Ora o mai più

Ora o mai più
il trascendente angelo s'immerge
nel pacato silenzio.
Ora o mai più
il ghetto oscuro
affiora dalla latrina
per innalzare "gospels".
Ora o mai più
il trascendente si spara ...
un colpo!
Ora o mai più
vedrai ombre
nella stanza:
ora o mai più
vedrai il tempo
che un angelo
piomberà immobile
sul Mare Morto.                          1970

Gioco sottile

Padrone del bel giglio,
o Zeus,
satollami nel più santo dei giochi.
Per morte di un salice
che tristemente singhiozza
nel trespolo del mio povero essere.
Racconta quali pose assurde,
là sull'ampio colle di Venosa,
tra i monti Appennini,
ti hanno costretto ad assumere
i malvagi oracoli
di un lontano mare.
Racconta quante lune
ha spento l'ira di Achille.
Ritorna, o Zeus, al tuo antro
e lascia per un attimo soli
questi passivi bambini
nel loro gioco sottile.                   1971

Fiesta

Era il sol di maggio
così pulito e così etereo,
vivissima spiritualità
vicino al fosso
dove cantavano in molti
così vispi nell'ossessione di far baccano.
Poi le maschere,
danzando nel verde,
si traevan sul pulpito
a decantare quel mistero inespresso
nel sonno di un Dio.

Era la fiesta di Spagna
che ci incitava nel calore
di ogni dì
a ribellarci e inneggiare
alla santa alleanza di libertà.           1971

Alabastro

Sasso  di Sassari
Nel sussurro del sozzo sapiente.
Sogno di mezza sagra
Nel sesto secolo del sasso che sorge,
Mentre si staglia nel bel seme
Tutto il sospiro
Di una non decifrata soave verginella
Che ti porge, o sasso di Sassari,
Tutti i rimpianti
Di una scrittura sagace
Che vorresti odorare
Nel lento vagare della sinuosa tua voglia.

Ed ecco che nel sasso di Sassari
Si sente il tocco di un alabastro.
Ogni sacro sasso si fonde
Col solido e forte
Alabastro                                             1971

Ribellione umana

Se mi vedo nel blu
Non mi riconosco più.
Torero invelenito nella bianca arena
Fatta di ossa di toro con la bile nelle corna.
Orario normale per un ragazzaccio di provincia
che vede nel toro la vittima color cioccolata.

Diciamo la verità,
osiamo turbare la pace dei nostri rossi cuori
pagando nella persona il fatto dell'ingiuria.

Ma tu non osi errare nel lungo tuo giro
Perchè temi il furore del male ingiusto.
E sei solo un povero verme incapace di reazione.
Perchè non vuoi l'adeguamento
Nel comune insorgere,
Se ti vedi nel blu
Non ti riconosci più.                              1971

Senza più capire le cose

Dovendo dare il segno
per un ricordo di città,
mi tuffo nell'arido caos
del tiglio infossato.
Torna e ritrova l'angelo
il suo perduto uomo.

O luna del cuore,
non si vive per un battito d'ali
solo per due giorni di lotta
nel torbido latte...
In giuramento di cose
per cose lontane,
senza più capire le cose.                       1971

Tempo di andare

Ieri, non più tanto di un istante,
scorgevo te riflessa nell'acqua.
Mostravi il candore di bimba
innocentemente avviluppata nei sogni.
Tempo di andare,
sì, era tempo di andare,
ma tu non conoscevi la meta.
Tu ignoravi le gravi trincee
con sacchi di terra,
lassù,
al fronte costellato di luci e di scoppi.

Tempo di andare,
forse più non verrò
a mirare il cielo pulito del tuo cuore.
Se mai non dovessi venire,
custodisci in te questi ricordi
di oggi.                                                1971

Fatto noto

Era un fatto chiarito
da te.
Il melo cresceva di giorno in giorno
Nel giardino vuoto.
Era un fatto conosciuto
da molti.
La vita giaceva in fondo al pozzo
Nel cortile deserto.
Era un fatto noto
a me solo.
Le parole non si volevan staccare
dalla lingua secca.                                 24.04.1972

Attimo

Ancora
sapendomi in vita
adesso posso lucidamente vedere:
tutto è stato un attimo
quando l'attimo è concluso
in
continuazione vitale...
e l'incubo indefinito
nel finito spazio dell'attimo
si è spento in SHOCK!
ed esterrefatto e ritenuto e protratto
in tante piccole
continuazioni vitali
quando l'attimo è finito
tutto è stato proprio un attimo
sapendomi in vita
ancora protratto e ritenuto ed esterrefatto
nell'attimo del ricordo-epigrafe 24 del 7 del '77:
autostrada
con sbandamento...                                                 1977


Ora o mai più  -   Ispirazioni:  Guerra nel Vietnam; 
                            segregazione razziale negli Usa;
                            lettura di "Un altro mondo" di Baldwin.

Fiesta  -  Ispirazione:  "Per chi suona la campana" /
                                  'For whom the bell tolls'  di E.
                                  Hemingway.

Alabastro  -  Gioco di parole con la lettera "s"

Tempo di andare -  Ispirazioni:  Canzoni / testi
                              di Bob Dylan; guerra nel Vietnam


Lucianone