(da "Corriere della Sera" - 31 maggio 2015 /
LaLettura - di Alessandra Iadicicco - da Chaville/Francia)
Il narratore austriaco, al centro di molte polemiche durante
la guerra dei Balcani, oggi coltiva meli, raccoglie funghi e
osserva i finferli che crescono..
Scrivere mi spaventa, rifiuto la politica.
Sono un profugo del mio tempo.
Vivo nel bosco:
ascolto gli alberi
che sussurrano
"Ma sì, venga da queste parti a maggio, quando
al margine del bosco , tra l'erba o sotto l'edera, va-
le la pena di scoprire i prugnoli di San Giorgio".
L'invito di Peter Handke era arrivato per posta, dopo
uno scambio di lettere e di osservazioni sul tradurre,
dopo la richiesta di un incontro e l'invio di qualche
immagine di certi trofei. Gli avevo spedito le foto dei
porcini raccolti l'estate scorsa in Alto Adige, nei giorni
in cui lavoravo alla traduzione del suo Saggio sul cer-
catore di funghi: un racconto fiabesco, la storia di
un'incredibile avventura uscita in questi giorni da
Guanda. Lui aveva risposto con la foto di un gigan-
tesco piatto di funghi da lui stesso cucinati per Ca-
podanno.
Handke ha un sense of humour che contraddice l'im-
magine, che in genere gli si attribuisce, di quell'orso
eremita, schivo, furente, allergico ai giornalisti...
Come dargli torto? Certe sue posizioni sono state
travisate. Come nel caso della ex Jugoslavia ai tempi
della guerra nei Balcani. Sostenne la popolazione ju-
goslava, sensibile "alla loro tragedia - disse - , alla
loro situazione senza speranza".Si schierò per la Ser-
bia, si scagliò contro i bombardamenti della Nato lan-
ciati su migliaia di civili. Pianse la sorte dei bambini
vittime innocenti del conflitto, per i quali l'anno scor-
so ha devoluto gli oltre 300 mila euro del Premio Ib-
sen. E, da certa stampa, fu etichettato come fascista,
un sostenitore del boia Milosevic o addirittura del
sanguinario generale Mladic. Ora, proprio in nome
"della grande amicizia e della simpatia dimostrata
da Handke verso la popolazione serba", Belgrado
gli ha conferito pochi giorni fa la cittadinanza ono-
raria.
Dopo una vita avventurosa, abita da anni in solitudine nel
sobborgo parigino di Chaville, in una casa che, cinta da un
muro e dal verde, dalla strada non si scorge nemmeno. Ma
il gesto con cui apre il cancello del giardino - per mostrare
orgoglioso i due meli, il cotogno non ancora del tutto sfio-
rito, il giovane pero, il grande cedro, il noce, il castagno...
è lui in persona a coltivare le piante - non potrebbe essere
più ospitale.
Inizio INTERVISTA
Alessandra Iadicicco - Lei stesso ha tradotto molti libri,
di autori antichi e moderni. Tradurre le procura gioia?
P. Handke - "Ho paura quando scrivo, sempre, ancora
adesso. La scrittura propria è sempre pericolosa. Ma
quando traduco non ho paura. Semmai ho problemi,
ma i problemi si possono risolvere. Scrivendo inve-
ce... Scrivere non è normale come sembra per la
maggior parte degli scrittori oggi. Così la letteratura
non è più la grande spedizione che potrebbe essere.
Tanti oggi trovano normale scrivere. Forse è natura-
le, ma non è normale. Può diventare naturale man
mano che si scrive, ma l'inizio non è naturale: l'inizio
è un sacrilegio".
A. Iadicicco - Perchè?
P. Handke - "Non lo so. Non posso sempre dire per-
chè... Però è una necessità vitale. Senza scrivere non
potrei esistere. Scrivere è sano, indica la via verso la
salute. Tradurre invece è vampiresco. Ti divora l'ani-
ma, non la nutre a sufficienza. Anche quando si ama
molto un libro, o si traduce un autore che si sente affi-
ne. Tradurre non basta. Però una volta tradurre fu
per me una salvezza".
A. Iadicicco - Quando? E la salvò da che cosa?
P. Handke - "Fu la prima traduzione, dall'inglese, una
lingua che non amo parlare. Di un autore americano,
Walker Percy, tradussi The Moviegoer, Der Kinogeher,
un personaggio che mi somiglia. Era il 1979, ero appe-
na tornato in Austria, ma non volevo tornare in patria.
Per anni avevo vissuto all'estero, prima in Germania,
poi a Parigi. Mi trasferii nel '79 a Salisburgo: volevo
che mia figlia Amina frequentasse il ginnasio in tede-
sco. Ma allora la patria per me era terra straniera.
Fu la traduzione a riportarmi a casas, a rendermi di
nuovo familiare il mio Paese. La lingua e, parallela-
mente, il paesaggio attorno a Salisburgo mi indica-
rono la strada. Lingua e paesaggio: una fragile pa-
tria... La lingua che usai per tradurre mi riportò al
mio posto. Non la scrittura. Perchè la scrittura, lo
ripeto, è una patria pericolosa...".
A. Iadicicco - Tradurre permette di stringere legami
attraverso confini che oggi, ancorchè invisibili, sono
più che mai soffocanti...
P. Handke - "Già... Nel frattempo gli antichi confini -
politici, economici - sono scomparsi. Eppure i confini
culturali sono molto più forti. I libri - non parlo di libri
veri - sono scritti dappertutto allo stesso modo: in
America, Russia, Cina... Questa indifferenza è peg-
giore di qualsiasi confine, dei confini che un tempo
mi erano cari. Le traduzioni, poi, sono sempre soste-
nute dai ministeri, finanziate dagli istituti di cultura.
Si vuole promuovere la letteratura internazionale.
Ma io sento la mancanza di una letteratura mon-
diale, di quella che Goethe chiamava la Weltliteratur,
che nasce dall'eterno scambio tra i popoli attraverso
i confini e i linguaggi. Non potrò mai scomparire, ma
non sai dove scorre. E' come un fiume carsico che
fluisce al di sotto del terreno e devi accostare l'orec-
chio alle rocce calcaree per capire dove passa e do-
ve verrà alla luce".
A. Iadicicco - Confini lei ne ha attraversati tanti, non solo
traducendo. Ha fatto il giro del mondo, ha cambiato vari
luoghi di residenza.
P. Handke - "Ma ora di qui non mi muovo più. Vivo a
Chaville da 25 anni. E difendo il mio posto, difendo il
luogo: la mia casa, il giardino...".
A. Iadicicco - Una volta ha definito se stesso "uno
scrittore di luoghi"...
P. Handke - "Sarà perchè soffro da sempre per la
mancanza di un luogo, perchè dall'infanzia conosco
il dolore dello sradicamento. Così anche un luogo e-
pisodico è sempre stato come una grazia per me. Un
posto però deve diventare epico: si deve raccontarlo,
trasformarlo nel personaggio di una storia, far sì che
possa apparire per tutti".
A. Iadicicco - E come vive il trascorrere del tempo? Ha
l'aria di un uomo che non invecchia. Come "il cercatore
di funghi": da bambino non voleva sapere nulla del suo fu-
turo. Da adulto, avvocato di fama internazionale, nell'inti-
mo non si è mai spinto oltre i margini del bosco.
P. Handke - "E' così: decisivo per me è rimasto il
mormorare degli alberi sul margine del bosco. Se
mi sfuggisse quel sussurro, se non riuscissi più a
coglierlo, mi direi: hai perso tempo, hai mancato
il momento. Questo è il tempo per me. Non il tem-
po politico. Rifiuto di credere che il tempo politico
sia il mio tempo, il mio destino. Gli sono sfuggito.
Sono un profugo del mio tempo. E non mi volto in-
dietro come la moglie di Lot, a guardare verso la
politica. Mi trasformerei in una colonna di pietra,
con la quale non si può fare nulla. No, il tempo
per me è un altro. Anche tutte le mie spedizioni
libresche mi portano in un altro tempo. L'altro
tempoè, credo, un Dio buono, l'unico Dio che io
abbia mai visto. E anzi l'ho sempre visto c
una donna, una dea: die Gòttin Zeit... La Dea
Tempo mi ha sempre mostrato un volto femmi-
nile".
A. Iadicicco - E la sua scrittura è senza tempo, fuori dal
tempo, inattuale? Nel "Saggio sul cercatore di funghi"
scrive: "Finchè questa flora selvatica resisterà all'alleva-
mento, alla coltura, fino ad allora l'andar per funghi re-
terà l'avventura della resistenza! Una forma di eternità",
P. Handke - "Però non sono solo i funghi... Voglio
dire. Quando si dice di un libro che è attuale io ri-
spondo: allora non mi interessa. I libri non hanno
niente a che fare con l'attualità. Attualità però è
una bellissima parola. Allude all'azione, alla vita.
Però a me piace riferirmi a un'altra attualità. Vo-
glio dire, non esisterei senza 'il mondo delle no-
tizie'. Quel mondo però contribuisce a darmi l'im-
pulso e l'energia a pensare ex negativo qualco-
s'altro. In questo senso ha ragione chi dice di me
che sono uno scrittore utopico. Perfino nei miei
diari entra il cosiddetto mondo dell'attualità e quel
che mi accade attorno. L'altro giorno, ad esempio,
c'era sul treno una coppia di anziani accompagnati
da due giovani badanti romeni. La scena si svolge-
va in silenzio, gli anziani erano muti, come i loro
accompagnatori. Io però ho immaginato che i
quattro intavolassero una singolare conversazione.
E' invenzione, il che non significa fantasia arbitra-
ria, vuol dire da quella che è l'"attualità attuale",
fantasticare su una attualità eterna".
A. Iadicicco - I suoi libri, le traduzioni, i saggi, i diari,
sono tutti manoscritti. La sua scrittura è riprodotta
sulla copertina delle edizioni originali...
P. Handke - "Anche questo segna un tempo diverso.
Da oltre trent'anni scrivo con la matita. Ho comincia-
to a farlo per via dei viaggi. Spostandomi da un Pae-
se all'altro , le lettere sulla tastiera della macchina
per scrivere erano in un ordine diverso. Questo mi
distraeva. Mi irritavo, mi arrabbiavo: non sono tan-
to saldo di nervi... Dovevo cercare il tasto giusto e
la fantasia, la visione interiore era minacciata - no,
esagero - era disturbata. Così ho provato a scrive-
re a mano. Funzionava! Fu una sorpresa. Ne è sor-
to un nuovo ritmo, anzi, un'altra Folge, la chiama
Goethe, un'altra sequenza: in questo senso sì, la
mia è una scrittura inattuale.Eppure ci sono un paio
di persone che mi leggono. Però mimanca la scrittu-
ra epica. L'avventura del cercatore di funghi è sta-
ta l'ultima".
A. Iadicicco - Come trascorre le sue giornate da solo qui?
P. Handke - "La mattina leggo, annoto quello che è
accaduto il giorno prima, vado nel bosco, di solito ver-
so mezzogiorno, quando tutti sono a tavola. D'inverno
nel pomeriggio vado al cinema, a Parigi, a Versailles.
Film ne vedo tantissimi, anche quelli brutti. Comun-
que il cinema è stimolante. Lo stesso non vale per i
libri. Un brutto libro provoca un'irritazione sterile e
cattiva. Il cinema, però, con tutte le sue potenzialità,
non potrà mai colmare il posto della letteratura, che
al momento è vuoto. Peccato".
A. Iadicicco - Dall'inizio della sua attività letteraria,
dagli "Insulti al pubblico" lei esercita una retorica
dell'invettiva. "Maledione, dannazione, maledizione,
dannazione" dice il narratore del "Saggio sulla gior-
nata riuscita" per esprimere la propria indignazione
dapprima, in gioventù, contro il cielo, poi contro la
società, infine contro se stesso. Com'è che tante
sue figure sono intonate sulla chiave dell'ira, dello
sdegno, del furore?
P. Handke - "Me lo chiedo anch'io a volte. Un buon
giornalista televisivo, anni fa, con il quale ho anche
girato un film, disse che dentro di me c'è una minie-
ra di furore. Chissà, l'avrò ereditata da mio nonno.
Non sono un ribelle però: ho solo il furore. Goethe,
nel Torquato Tasso, dice: "Nel mio cuore gira una
ruota di gioia e dolore". Io potrei dire che la ruota
che gira nel mio cuore alterni la mitezza al furore.
La mia furia è innocua però, non è odio, è solo fu-
rore".
A. Iadicicco - Contro chi?
P. Handke - "Non lo so! Sarà una malattia. Mi
avrà morso un cane da piccolo, o una lumaca.
O mi avrà punto un calabrone..."
A. Iadicicco - Qualcuno in Germania l'ha definita il
"Waldgànger" della letteratura contemporanea. E'
l'eroe romantico che nella solitudine del bosco cerca
un rifugio dalla società in cui soffre. Quella parola evo-
ca anche il "Waldgang" di Ernst Jùnger, il "Trattato del
ribelle" che nel bosco cerca l'Altro dal proprio tempo.
Lei nel bosco che cosa cerca?
P. Handke - "Di Jùnger ho amato moltissimo
Il cuore avventuroso, mi ha dischiuso il vaso di
pandora della fantasia. Quanto al bosco, che cosa
cerco... E' come nella poesia di Goethe: "Ich ging
im Walde so fùr mich hin / Und nichts zu suchen,
Das war mein Sinn" (Andavo per il bosco nei miei
pensieri intento, / senza cercare nulla, tale era il mio
sentimento). Non è necessario cercare qualcosa. E'
eccitante, certo. Ma quando non trovo nulla mi sen-
to sollevato, all'inizio sono deluso ma poi mi sento
libero. L'altro giorno nel bosco ho trovato una palla
da rugby... La gente mi ha visto rientrare in paese e
avrà pensato a una boccia, la petanque, o a un gros-
so fungo! La verità è che raccolgo di tutto. Pietre,
piume di uccelli. E' come una smania, una malattia:
il Suchen, il cercare, si trasforma in una Sucht, una
dipendenza. Ma nel bosco c'è altro. Ci sono questi
slarghi dove filtra la luce:Claros del bosque li chia-
ma una poetessa-filosofa spagnola, Maria Zambrano.
E nella natura, scriveva Hòlderlin, "l'jntera mia es-
senza ammutolisce e ascolta".
A. Iadicicco - E i funghi che cosa rappresentano?
L'ultima avventura, l'ultima frontiera, l'ultima fiaba?
P. Handke - "Sono diavoli! Se non stai attento ti
crescono in casa, marciscono e i vermi strisciano
attorno... E ci diventi matto. L'ho scritto. E mi hanno
raccontato di gente che per la mania dei funghi ha
perso la testa davvero. A me non è successo (ride).
Però il primo porcino che trovai nel bosco me lo ri-
cordo ancora. Era uno spettacolo per gli occhi, e
in più potevo gustarlo, poteva essere un piacere
universale per il corpo. Questo è un valore. E' sempre
così per le cose rare che si trovano in natura. Nella fo-
resta qui attorno ci sono posti dove cresce l'aglio orsi-
no, un condimento gustosissimo. O l'erba cipollina sel-
vatica, la si riconosce dal colore: non cìè un altro verde
così scuro e brillante come quello dell'erba cipollina. E
la rucola. Arrivando in treno da Parigi la si vede vici-
no alla stazione di Javel. Una volta sono sceso lungo i
binari per raccoglierla.
Continua... to be continued...