dicono: "Ci siamo salvati scrivendo"
Per la prima volta i due scrittori si sono incontrati e hanno
raccontato a Emanuela Audisio di 'Repubblica' (18/11/'12)
come combattono l'odio e il dolore.
I fanatismi, il dolore, le piccole abitudini riconquistate.
Seduti in un caffè milanese, per la prima volta i due
scrittori si incontrano faccia a faccia. E si raccontano.
Grossman: "Quando mio figlio è morto in guerra ho
creduto che non avrei più trovato la forza di scrivere".
Rushdie: "Dopo la fatwa l'ho pensato anch'io".
Sapessi come è strano per David e Salman incontrarsi
e parlarsi davanti ad un cappuccino a Milano. Lo scrit-
tore ebreo e quello musulmano per la prima volta faccia
a faccia. Amici nonostante la lontananza geografica e
religiosa. E con lo stesso nemico: il fanatismo .
Grossman nato a Gerusalemme nel '54 e Rushdie nel '47.
David che vive su un fronte di guerra presente ("E'terri-
bile stare lontano dal proprio paese in un momento così
drammatico) e Salman che non aveva un fronte, perchè
sotto la fatwa qualsiasi strada poteva esserlo. L'israelia-
no e l'indiano, due padri, uniti dall'aver pagato anche in
famiglia un alto prezzo per quel fronte. -
I due scrittori nel loro ultimo lavoro hanno concesso la
loro intimità ai lettori: Grossman in "Caduto fuori dal
tempo" a metà tra poesia e prosa scrive di genitori che
hanno perso il figlio e Rushdie in "Joseph Anton" parla
in terza persona di cosa gli capitò da quando il giorno di
di San Valentino dell'89 l'ayatollah Khomeini lo condan-
nò a morte per i Versi satanici.
"Caduto fuori dal tempo" e "Joseph Anton", editi da
Mondadori, sono due libri disperati e teneri, due diari
pubblici di un dolore privato.
Salman Rushdie
E. Audisio: "Venite da paesi e da infanzie diverse, c'è una
parola, un tema che vi accomuna?".
Rushdie - "Credo sia il linguaggio, la flessibilità, le sfuma-
ture, il fatto di non dargliela vinta a chi vorrebbe volgarità
e violenza. Non ci abbassiamo. Cerchiamo il punto di vista
degli altri, il dialogo, non sottovalutiamo nè disprezziamo
altri pareri e sguardi. Entrambi abbiamo messo la famiglia
al centro dei nostri racconti, guardiamo agli individui, a
speranze e desideri, tutto e tutti ci sembrano degni di curio-
sità, bisogna sapere, conoscere, rispettare. Non siamo co-
me i Talebani che odiano il piacere. Infatti cosa vietano?
La musica. la danza, il cinema. Qualsiasi cosa dia piacere
e gioia. La loro idea è che solo dopo la morte ci sia la
vita, dunque tutto quello che emoziona su questa terra
non vale la pena".
Grossman - "Sì, Salman ha ragione. Noi cerchiamo di
capire le ragioni e le vite altrui, strizziamo le parole, le
valutiamo. Non scriviamo per sfogarci. E' spaventoso
che in questo momento a Gerusalemme la mia nipotina
di quattro mesi sia in un rifugio, che idea si farà dell'esi-
stenza? Ma questo non significa ignorare che anche i
palestinesi hanno i loro diritti.
Non dobbiamo amarli, ma conoscere le loro privazioni sì,
non sono estranei da lasciare fuori, non puoi solo vivere
l'ignoranza e condannare gli altri e guerreggiare. Noi
scrittori non abbiamo eserciti e nemmeno possiamo finan-
ziare armamenti. La nostra resistenza deve essere civile,
magari con piccoli gesti, con analisi che non siano visce-
rali. Noi possiamo smonatere l'odio dei fanatismi o almeno
provarci. Abbiamo il potere di ricordare agli altri che c'è
un'alternativa, anche contro la realtà, la logica e l'istinto.
Quello di uccidere gli arabi non può essere uno slogan".
E. Audisio: "Si scrive per fare ragionare un mondo impazzito?"
Rushdie - "Io sono stato uno studente appassionato di
storia e dico: chi prima dell'89 credeva possibile che il
Muro crollasse e che l'Urss si sciogliesse? Non bisogna
per forza essere pessimisti. Quando ero piccolo i miei
parlavano di Beirut come di una Parigi mediorientale
e di Baghdad, Teheran e Damasco, come di città libere
e splendide, mio padre pregava cinque volte al giorno
verso la Mecca eppure andò da mio nonno a dubitare:
e se Dio non esiste? Parliamone, fu la risposta. Nessu-
no lo scomunicò. Mezzo secolo dopo tutto è cambiato
e si è inacidito".
E. Audisio: "Come ci si racconta quando l'io diventa noi:
e gli altri si ritrovano nella nostra stessa orma? E si è at-
tendibili sulla propria intimità? "
Grossman - "Quando ho scritto 'Il Libro della grammatica
interiore' ci tenevo a farlo leggere subito ai miei genitori.
Mio padre aveva dei dubbi: è bello, ma come faranno a ca-
pirlo fuori dalla nostra famiglia? A lui sembrava impossibile
che altri si potessero ritrovare nelle mie parole. Quando il li-
bro è stato tradotto è stata la mia vittoria. Sono andato da lui
e gli ho detto: l'hanno capito benissimo anche all'estero.
Se si è sinceri si è universali".
Rushdie - "Concordo, la natura umana è costante. Spesso
se si è onesti un'emozione privata diventa l'esperienza di
tutti, mentre un fatto pubblico, noto e importante, si perde
nella sua insensatezza. Voglio dire questo: quando sono
stato condannato dalla fatwa, a mia madre che viveva so-
la a Karachi, in Pakistan, una città difficile e violenta, gli
amici hanno consigliato di togliere il nome dal campanel-
lo per sicurezza. Lei ha rifiutato: no e poi no. Non ha rice-
vuto una minaccia o un'offesa, anzi ogni mattina al merca-
to c'era chi le chiedeva: come sta suo figlio? ce lo saluti
molto. C'era un mondo musulmano che aveva capito e non
si riteneva offeso dalle mie parole. Certo, non sempre sia-
mo attendibili quando parliamo di noi stessi e delle nostre
debolezze, ad esempio, ci tenevo che mia moglie Elisabeth
leggesse in anteprima la mia autobiografia e fatti in cui
era coinvolta, ma lei li ricordava diversamente. E' norma-
le: quattro persone siedono in una stanza e ognuno ha la
sua versione".
E. Audisio: "Come, quando e dove scrivete: con musica, in
silenzio?".
Grossman - "Io all'alba verso le sei di mattina vado a cam-
minare per un'ora con mia moglie. Mi piace, a quell'ora
vedo volpi e gazzelle, poi scrivo in una stanza per quattro-
cinque ore. Con sottofondo di musica classica e di jazz,
magari non con tante parole, la musica è magica, mi aiuta
ad entrare in un altro mondo ma, ad un certo punto, mi
rimetto a camminare su e giù per la stanza, mia moglie
dice che calpesto i tappeti e che si vedono i segni di tutti
i chilometri che faccio. C'è Agnon, ilo primo e unico scrit-
tore israeliano che nel '66 vinse il Nobel, che scriveva in
piedi. Davanti aveva il leggìo con il foglio e niente più.
Quando finisco, prima di uscire accendo la radio, che
mi serve come antidoto alla realtà, mi fa capire che è
ora di uscire là fuori".
Rushdie - "Io avevo bisogno del silenzio e del mio
studio. Ma nei dieci anni in cui sono stato in fuga
e in posti diversi mi sono dovuto adattare a lavo-
rare dove capitava. Resta che nei bar non potrei
mai. Scrivo di mattina, anche in pigiama. David
Mamet ha pubblicato "Writing in Restaurants",
J.K. Rowlings ha composto "Harry Potter" se-
duta al caffè, beata lei. Ammetto: lì nessuno ti
rompe con le telefonate e magari vedere una
faccia che ti dà l'ispirazione, ma no, niente mu-
sica. Vivo da un pò di anni a Manhattan che
per fortuna è piatta. Cammino anch'io, ma di
sera, per lioberarmi la testa e per distrarmi.
Niente psicanalisi, stimo Freud, grande scrit-
tore, ma ogni volta che mi hanno proposto
un massaggio alla mente di quel tipo mi sono
detto: tutto qui?".
E. Audisio: "Rushdie è partito: dall'India
verso l'Inghilterra e in America. Grossman
lascerà mai Israele?"
Grossman - "L'ho pensato in passato per evitare quello
che poi è successo, ma non potrei. Io sono fatto di que-
sta materia, è un paese di opposti, ma mi commuove
il fatto che qui sono arrivati ebrei da tutto il mondo
che cercavano una terra, finalmente un posto loro,
dopo fughe e persecuzioni. Qui senti un respiro
universale, tante culture, tante origini diverse che
si mischiano. Mi capita di criticare Israele, ma ca-
pisco l'importanza di avere uno Stato. Qui c'è una
grande storia umana, se solo riuscissimo a vivere
in pace, a fianco, con rispetto. No, non me ne an-
drò, io appartengo a questa contraddizione: a
questa fragilità che purtroppo spesso si tramuta
in violenza".
studio. Ma nei dieci anni in cui sono stato in fuga
e in posti diversi mi sono dovuto adattare a lavo-
rare dove capitava. Resta che nei bar non potrei
mai. Scrivo di mattina, anche in pigiama. David
Mamet ha pubblicato "Writing in Restaurants",
J.K. Rowlings ha composto "Harry Potter" se-
duta al caffè, beata lei. Ammetto: lì nessuno ti
rompe con le telefonate e magari vedere una
faccia che ti dà l'ispirazione, ma no, niente mu-
sica. Vivo da un pò di anni a Manhattan che
per fortuna è piatta. Cammino anch'io, ma di
sera, per lioberarmi la testa e per distrarmi.
Niente psicanalisi, stimo Freud, grande scrit-
tore, ma ogni volta che mi hanno proposto
un massaggio alla mente di quel tipo mi sono
detto: tutto qui?".
E. Audisio: "Rushdie è partito: dall'India
verso l'Inghilterra e in America. Grossman
lascerà mai Israele?"
Grossman - "L'ho pensato in passato per evitare quello
che poi è successo, ma non potrei. Io sono fatto di que-
sta materia, è un paese di opposti, ma mi commuove
il fatto che qui sono arrivati ebrei da tutto il mondo
che cercavano una terra, finalmente un posto loro,
dopo fughe e persecuzioni. Qui senti un respiro
universale, tante culture, tante origini diverse che
si mischiano. Mi capita di criticare Israele, ma ca-
pisco l'importanza di avere uno Stato. Qui c'è una
grande storia umana, se solo riuscissimo a vivere
in pace, a fianco, con rispetto. No, non me ne an-
drò, io appartengo a questa contraddizione: a
questa fragilità che purtroppo spesso si tramuta
in violenza".
Continua... to be continued...