lunedì 26 novembre 2012

Gli scrittori David Grossman e Salman Rushdie

Grossman, ebreo, e Rushdie, musulmano,            
dicono: "Ci siamo salvati scrivendo"
Per la prima volta i due scrittori si sono incontrati e hanno
raccontato a Emanuela Audisio di 'Repubblica' (18/11/'12)
come combattono l'odio e il dolore.

I fanatismi, il dolore, le piccole abitudini riconquistate.
Seduti in un caffè milanese,  per  la  prima  volta  i due
scrittori si incontrano faccia a faccia. E si raccontano.
Grossman:    "Quando mio figlio è morto in guerra ho
creduto che non avrei più trovato la forza di scrivere".
Rushdie:  "Dopo la fatwa l'ho pensato anch'io".
Sapessi come è strano  per David e Salman  incontrarsi
e parlarsi davanti ad un cappuccino a Milano.   Lo scrit-
tore ebreo e quello musulmano per la prima volta faccia
a faccia.    Amici nonostante la lontananza geografica e
religiosa. E con lo stesso nemico: il fanatismo .
Grossman nato a Gerusalemme nel '54 e Rushdie nel '47.
David che vive su un fronte di guerra presente  ("E'terri-
bile stare lontano  dal proprio paese  in un momento così
drammatico) e Salman che non aveva un fronte, perchè
sotto la fatwa qualsiasi strada poteva esserlo. L'israelia-
no e l'indiano, due padri, uniti dall'aver pagato anche in
famiglia un alto prezzo per quel fronte. -
I due scrittori  nel loro ultimo lavoro hanno concesso la
loro intimità ai lettori: Grossman  in "Caduto fuori dal
tempo" a metà tra poesia e prosa scrive di genitori che
hanno perso il figlio e Rushdie in "Joseph Anton"  parla
in terza persona di cosa gli capitò da quando il giorno di
di San Valentino dell'89 l'ayatollah Khomeini lo condan-
nò a morte per i Versi satanici.
"Caduto fuori dal tempo"  e  "Joseph Anton", editi da
Mondadori, sono due libri disperati e teneri, due diari
pubblici di un dolore privato.
 Salman Rushdie







E. Audisio: "Venite da paesi e da infanzie diverse, c'è una
parola, un tema che vi accomuna?".
Rushdie - "Credo sia il linguaggio, la flessibilità, le sfuma- 
ture, il fatto di non dargliela vinta  a chi vorrebbe volgarità
e violenza. Non ci abbassiamo. Cerchiamo il punto di vista
degli altri, il dialogo, non sottovalutiamo  nè disprezziamo 
altri pareri e sguardi. Entrambi abbiamo messo la famiglia
al  centro  dei  nostri racconti, guardiamo agli individui, a
speranze e desideri, tutto e tutti ci sembrano degni di curio-
sità, bisogna sapere, conoscere, rispettare.  Non siamo co-
me i Talebani che odiano il piacere.  Infatti cosa vietano? 
La musica. la danza, il cinema. Qualsiasi cosa dia piacere
e gioia.    La loro idea  è che solo  dopo la morte ci sia la
vita, dunque  tutto quello  che emoziona  su questa terra 
non vale la pena".
Grossman - "Sì, Salman ha ragione.  Noi cerchiamo di
capire le ragioni e le vite altrui, strizziamo le parole, le
valutiamo. Non scriviamo per sfogarci. E' spaventoso
che in questo momento a Gerusalemme la mia nipotina
di quattro mesi sia in un rifugio, che idea si farà dell'esi-
stenza?    Ma questo non significa ignorare che anche i
palestinesi hanno i loro diritti.
Non dobbiamo amarli, ma conoscere  le  loro privazioni sì,
non sono  estranei  da  lasciare fuori, non puoi solo vivere
l'ignoranza e  condannare  gli  altri  e  guerreggiare.   Noi
scrittori non abbiamo eserciti e nemmeno possiamo finan-
ziare armamenti.    La nostra resistenza deve essere civile, 
magari con piccoli gesti, con analisi che non siano visce-
rali. Noi possiamo smonatere l'odio dei fanatismi o almeno
provarci. Abbiamo il potere di ricordare agli altri che c'è
un'alternativa, anche contro la realtà, la logica e l'istinto.
Quello di uccidere gli arabi non può essere uno slogan".
E. Audisio: "Si scrive per fare ragionare un mondo impazzito?"
Rushdie - "Io sono stato uno studente appassionato di
storia e dico: chi prima dell'89 credeva possibile che il
Muro crollasse e che l'Urss si sciogliesse? Non bisogna
per forza essere pessimisti.   Quando ero piccolo i miei
parlavano di Beirut come di una Parigi mediorientale 
e  di Baghdad, Teheran e Damasco, come di città libere
e splendide, mio padre  pregava  cinque volte al giorno
verso la Mecca eppure andò da mio nonno a dubitare:
e se Dio non esiste? Parliamone, fu la risposta. Nessu-
no lo scomunicò. Mezzo secolo dopo tutto è cambiato
e si è inacidito".
E. Audisio: "Come ci si racconta quando l'io diventa noi:
e gli altri si ritrovano nella nostra stessa orma? E si è at-
tendibili sulla propria intimità? "
Grossman - "Quando ho scritto 'Il Libro della grammatica
interiore' ci tenevo a farlo leggere subito  ai miei genitori.
Mio padre aveva dei dubbi: è bello, ma come faranno a ca-
pirlo fuori dalla nostra famiglia? A lui sembrava impossibile
che altri si potessero ritrovare nelle mie parole. Quando il li-
bro è stato tradotto è stata la mia vittoria. Sono andato da lui
e  gli  ho detto:  l'hanno  capito  benissimo  anche  all'estero.
Se si è sinceri si è universali".
Rushdie - "Concordo, la natura umana è costante.  Spesso
se si è onesti  un'emozione privata  diventa l'esperienza di
tutti, mentre un fatto pubblico, noto e importante, si perde
nella sua insensatezza.    Voglio dire questo: quando sono
stato  condannato dalla fatwa, a mia madre che viveva so-
la a Karachi, in Pakistan, una città difficile e violenta, gli
amici hanno consigliato di togliere il nome dal campanel-
lo per sicurezza. Lei ha rifiutato: no e poi no. Non ha rice-
vuto una minaccia o un'offesa, anzi ogni mattina al merca-
to c'era chi le chiedeva:  come sta suo figlio?  ce lo saluti
molto. C'era un mondo musulmano che aveva capito e non
si riteneva offeso dalle mie parole. Certo, non sempre sia-
mo attendibili quando parliamo di noi stessi e delle nostre
debolezze, ad esempio, ci tenevo che mia moglie Elisabeth
leggesse  in anteprima  la mia autobiografia e  fatti in cui
era coinvolta, ma lei li ricordava diversamente. E' norma-
le: quattro persone siedono in una stanza e ognuno ha la 
sua versione".
E. Audisio: "Come, quando e dove scrivete: con musica, in
silenzio?".
Grossman - "Io all'alba verso le sei di mattina vado a cam-
minare  per un'ora  con mia moglie.  Mi piace, a quell'ora
vedo volpi e gazzelle, poi scrivo in una stanza per quattro-
cinque ore.  Con sottofondo  di musica classica  e  di jazz,
magari non con tante parole, la musica è magica, mi aiuta
ad  entrare  in  un altro mondo  ma, ad un certo punto, mi
rimetto  a camminare  su e giù  per la stanza, mia moglie
dice che calpesto i tappeti e che si vedono i segni di tutti
i chilometri che faccio. C'è Agnon, ilo primo e unico scrit-
tore israeliano che nel '66 vinse il Nobel, che scriveva in
piedi. Davanti aveva il leggìo  con il foglio  e niente più.
Quando finisco, prima  di uscire  accendo la radio, che
mi serve  come antidoto  alla realtà, mi fa capire che è
ora di uscire là fuori".

Rushdie - "Io avevo bisogno del silenzio e del mio
studio. Ma nei dieci anni in cui sono stato in fuga
e in posti diversi mi sono dovuto adattare a lavo-
rare dove capitava. Resta che nei bar non potrei
mai. Scrivo di mattina, anche in pigiama. David
Mamet  ha pubblicato "Writing in Restaurants",
J.K. Rowlings ha composto "Harry Potter" se-
duta al caffè, beata lei. Ammetto: lì nessuno ti
rompe  con le telefonate  e magari vedere una
faccia che ti dà l'ispirazione, ma no, niente mu-
sica.   Vivo da un pò di anni a Manhattan che
per fortuna è piatta. Cammino anch'io, ma di
sera, per lioberarmi la testa e per distrarmi.
Niente psicanalisi, stimo Freud, grande scrit-
tore, ma ogni volta che mi hanno proposto
un massaggio alla mente di quel tipo mi sono
detto: tutto qui?".
E. Audisio:  "Rushdie è partito:  dall'India
verso l'Inghilterra e in America. Grossman
lascerà mai Israele?"
Grossman - "L'ho pensato in passato per evitare quello
che poi è successo, ma non potrei. Io sono fatto di que-
sta materia, è un paese di opposti, ma mi commuove
il fatto che qui sono arrivati ebrei da tutto il mondo
che cercavano  una terra, finalmente un posto loro,
dopo fughe e persecuzioni.      Qui senti un respiro
universale, tante culture, tante origini diverse che
si mischiano. Mi capita di criticare Israele, ma ca-
pisco l'importanza di avere uno Stato. Qui c'è una
grande storia umana, se solo riuscissimo  a vivere
in pace, a fianco, con rispetto. No, non me ne an-
drò, io appartengo  a  questa  contraddizione:  a
questa fragilità che purtroppo spesso si tramuta
in violenza".

Continua... to be continued...