Dopo essersi ritirato, nel 1955, dall'attività
di scalatore, cominciò a viaggiare in terre
remote. visioni post - 111
Il viaggio - 43 anni fa W. Bonatti si imbarcò sulla
torpediniera 'Fuentealba' e salpò da Punta Arenas.
nel 1954
(da 'Corriere della Sera' - 7 aprile 2013 - di Franco Brevini)
A Capo Horn sulle tracce
di Walter Bonatti
"Paesaggio apocalittico, senza orizzonte"
La fine del mondo, il punto più meridionale del-
l'America, una leggenda nella storia dell'esplora-
zione, un mito per ogni velista: Capo Horn è tutto
questo e altro ancora. I pensieri si affollano, men-
tre il solito vento patagonico cerca di buttarmi a
terra non appena emergo sull'altopiano dell'isola.
In basso, nella piccola cala, lo "zodiac" che mi ha
portato a terra dopo una danza infernale sulle onde.
In rada all'ancora la nave delle "Cruceros Austra-
lis", che una volta alla settimana permette anche
alla gente comune di raggiungere il selvaggio Capo
posto a oltre 55 gradi di latitudine sud, davanti allo
stretto di Drake: l'ultimo ricordo di terre quasi nor-
mali prima dell'assurdità glaciale dell'Antartide.
Mentre salgo verso il monumento di ferro che raffi-
gura un albatrio e che ricorda tutti i navigatori che
hanno doppiato il mitico Cabo de Hornos, come lo
chiamano i cileni a cui appartiene, ripenso che qua-
rantatrè anni fa calpestava questa stessa erba gial-
la e tagliente il più famoso alpinista ed esploratore
bergamasco: WALTER BONATTI.
Dopo il ritiro dall'attività di scalatore, nel 1965, Bo-
natti aveva cominciato a viaggiare in terre remote
quale avventuroso inviato di "Epoca". I suoi servi-
zi, corredati dalle primesbalorditive immagini della
wilderness che giungessero agli italiani, hanno fat-
to sognare più di una generazione. Io stesso credo
diu avere maturato la mia passione per i grandi
spazi del mondo su quelle pagine patinate, corre-
date di fotografie che oggi possono farci sorridere,
ma che allora erano ambasciatrici di favolose lon-
tananze per l'Italia del boom economico.
"Mi è venuta l'idea di raggiungere Capo Horn, il
più remoto e leggendario scoglio della storia ma-
rinara, dopo aver letto un certo numero di libri
che parlano di allucinanti naufragi accaduti a de-
cine di bastimenti trascinati dall'uragano".
Così inizia su "Avventura" (Rizzoli, 1984) il racconto
di Bonatti. Allora il turismo non aveva ancora toccato
Capo Horn e l'alpinista bergamasco dovette rivolger-
si nientemeno che all'ammiraglio Guillermo Barro
Gonzales, comandante della Terza Zona Navale Ci-
lena, di Punta Arenas, da cui anch'io sono salpato 4
giorni fa. Trasportato a Puerto Williams, Bonatti si
imbarca sulla torpediniera Fuentealba, che lo tra-
sporterà al Capo.
Anche questa mattina un vento radente scolpiva la
superficie del mare di onde taglienti. L'acqua ribol-
liva di creste schiumose e la "Stella Australis",
che pure è stata progettata dai cileni per questi sel-
vaggi mari, beccheggiava in modo assai marcato.
Bonatti dipinge in modo particolarmente epico la
sua traversata, che si conclude con la fiera appari-
zione del Capo: "E finalmente, il Capo Horn: che
si eleva nella bruma del controluce come un mostro
fosco e solitario. Il profilo dentellato della sua cima
più alta fa pensare al tridente di Nettuno, minaccio-
samente puntato verso le ignote solitudini dell'ocea-
no". In effetti il luogo ha un aspetto inquietante an-
che in questa giornata ventosa di fine marzo, in cui
tra le solite nubi bluastre della Patagonia si incide
qualche squarcio di azzurro. La violenza dei venti,
lo scontro delle onde dell'Atlantico e del Pacifico,
la desolazione di queste isole aride e rocciose in
cui esplode l'estremo lembo del continente ameri-
cano, sembrano fatti apposta per evocare le trage-
die che si consumano in queste acque grigie e pe-
rennemente agitate. Anche per i velisti di oggi
Capo Horn rappresenta una sorta di Everest.
Bonatti viene lasciato a terra. Una nave passerà
a riprenderlo tra qualche giorno. Gli tocca subito
fare i conti con una tempesta, che manda in bran-
delli la sua tenda. "Comincia a piovere, all'alba
è l'uragano. Il mare urla e ribolle con infinite cre-
ste spumeggianti. Raffiche di grandine lacerano
in breve il telone, posto ad ulteriore protezione
della tenda, e lo riducono a brandelli, che schioc-
cano come fruste ad ogni ondata di tempesta.
Devo fuggire per evitare il peggio, crcare asso-
lutamente una protezione naturale".
Lucianone
rinara, dopo aver letto un certo numero di libri
che parlano di allucinanti naufragi accaduti a de-
cine di bastimenti trascinati dall'uragano".
Così inizia su "Avventura" (Rizzoli, 1984) il racconto
di Bonatti. Allora il turismo non aveva ancora toccato
Capo Horn e l'alpinista bergamasco dovette rivolger-
si nientemeno che all'ammiraglio Guillermo Barro
Gonzales, comandante della Terza Zona Navale Ci-
lena, di Punta Arenas, da cui anch'io sono salpato 4
giorni fa. Trasportato a Puerto Williams, Bonatti si
imbarca sulla torpediniera Fuentealba, che lo tra-
sporterà al Capo.
Anche questa mattina un vento radente scolpiva la
superficie del mare di onde taglienti. L'acqua ribol-
liva di creste schiumose e la "Stella Australis",
che pure è stata progettata dai cileni per questi sel-
vaggi mari, beccheggiava in modo assai marcato.
Bonatti dipinge in modo particolarmente epico la
sua traversata, che si conclude con la fiera appari-
zione del Capo: "E finalmente, il Capo Horn: che
si eleva nella bruma del controluce come un mostro
fosco e solitario. Il profilo dentellato della sua cima
più alta fa pensare al tridente di Nettuno, minaccio-
samente puntato verso le ignote solitudini dell'ocea-
no". In effetti il luogo ha un aspetto inquietante an-
che in questa giornata ventosa di fine marzo, in cui
tra le solite nubi bluastre della Patagonia si incide
qualche squarcio di azzurro. La violenza dei venti,
lo scontro delle onde dell'Atlantico e del Pacifico,
la desolazione di queste isole aride e rocciose in
cui esplode l'estremo lembo del continente ameri-
cano, sembrano fatti apposta per evocare le trage-
die che si consumano in queste acque grigie e pe-
rennemente agitate. Anche per i velisti di oggi
Capo Horn rappresenta una sorta di Everest.
Bonatti viene lasciato a terra. Una nave passerà
a riprenderlo tra qualche giorno. Gli tocca subito
fare i conti con una tempesta, che manda in bran-
delli la sua tenda. "Comincia a piovere, all'alba
è l'uragano. Il mare urla e ribolle con infinite cre-
ste spumeggianti. Raffiche di grandine lacerano
in breve il telone, posto ad ulteriore protezione
della tenda, e lo riducono a brandelli, che schioc-
cano come fruste ad ogni ondata di tempesta.
Devo fuggire per evitare il peggio, crcare asso-
lutamente una protezione naturale".
Lucianone
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