24 agosto '20 - lunedì visione post - 21
DON CHERRY
Oltre il jazz,
verso un radicale neofolclore
universalistico e multiculturale
"Om Shanti Om",
l'essenza meravigliosa di un'epoca.
L'album postumo ricavato da un incontro
con il musicista in una trasmissione Rai
del 1976
(da 'il manifesto' - 9 agosto '20 - Marcello Lorrai)
Da diversi anni è reperibile su Youtube Incontro con Don
Cherry, un programma in bianco e nero a cura di Franco
Fayenz realizzato dalla Rai nel 1976: Cherry risponde ad
alcune domande, e cantando e suonando pocket trumpet,
flauto e donso ngoni (strumento a corde delle confrater-
nite dei cacciatori in Mali e Guinea) si esibisce col suo
gruppo di allora, un quartetto con la moglie lappone
Moki Cherry al tanpura, il brasiliano Nana Vasconcelos
al berimbau, alle tabla e ad altre percussioni, e l'italiano
Gian Piero Pramaggiore alla chitarra acustica e al flauto.
Lo studio è allestito con i bellissimi arazzi di stoffa di
Moki Cherry, che fanno da fondale al concerto: tra gli
altri si riconosce quello - con scritto "Om Mani Padme
Hum", uno dei più popolari mantra del buddismo tibe-
tano - che è stato riprodotto sulla copertina dell'album
di Cherry Brown Rice. All'inizio della performance
Cherry, che indossa un abito pittoresco, indica su un
drappo alle sue spalle un altro mantra, "Om Shanti
Shanti Shanti Om": è l'invocazione ("shanti" in san-
scrito significa "pace") con cui comincia il brano che
apre lo speciale. Nell'ultimo pezzo compaiono anche
Neneh Cherry, all'epoca dodicenne, che suona dei so-
nagli e partecipa al coro, e Eagle-Eye Cherry, sette
anni, che canticchia e percuote uno degli strumenti
di Vasconcelos, e ad un certo punto Neneh, Moki e
Don lasciano i loro posti e coi loro abiti esotici si
mettono a ballare in primo piano.
Ora i tre quarti d'ora di musica di Incontro con Don
Cherry sono diventati un album, Om Shanti Om,
pubbicato (in vinile e cd) dall'etichetta italiana
Black Sweat Records, che ha ottenuto di accedere al
master originale della Rai. Non è un pò paradossale
ricavare da un documento del genere un album?
A maggior ragione se si tiene conto della forte com-
ponente visiva dell'arte di Don Cherry di quel perio-
do: gli arazzi, che venivano installati sui palchi su
cui Cherry si esibiva; la musica eseguita per lo più
da seduti, accovacciati per terra, ad accentuare il
senso di una pratica comunitaria, e di una dimen-
sione cerimoniale, più che di concerto; la stessa
intestazione "Organic Music Theatre" sotto il qua-
le il gruppo di Cherry in quella fase si presentava:
con moglie e figli piccoli sotto i riflettori pareva
una generosa declinazione - ricordiamo una fol-
gorante esibizione al festival del jazz di Alassio
del 1973, con Neneh e Eagle-Eye anche loro sul
palco - dell'antico anelito delle avanguardie al
superamento della separazione tra arte e vita.
Senza neanche dire del magnetico candore di
Cherry in scena, della bellezza del suo viso, della
dolcezza ieratica del suo modo di fare.
No, non è affatto paradossale. Perchè se questi a-
spetti non erano gli ultimi fra i motivi della sugge-
stione dell'arte di Don Cherry di allora, e se la sua
proposta aveva una forte pregnanza nel suo insie-
me, Om Shanti Om ci porta a focalizzarci sull'a-
scolto, e a constatare che a prescindere dai deli-
ziosi teatrini, al netto di tutto il resto, la musica
di Don Cherry di quei tempi bastava e avanzava
di per sè, e mostrava anche tutto un suo rigore.
Dagli ultimi anni Sessanta Cherry era uscito da un ambito
ambito esclusivamente jazzistico e aveva sviluppato uno
straordinario nomadismo estetico e culturale, anche alla
ricerca di un più sereno equilibrio esistenziale. Quella dei
gruppi con cui Cherry negli anni Settanta si indirizzò più
risolutamente in questa direzione è la parte della sua pro-
duzione che - se non lasciò indifferenti tanti giovani sen-
sibili ai temi della controcultura - è stata più sottovaluta-
ta o decisamente disprezzata dalla critica ufficiale. ed è
anche non abbastanza documentata. Prima di Om Shanti
Om nessun album testimoniava per esempio di questa
formazione ridotta all'osso che rappresenta uno dei mo-
menti di più drastico allontanamento di Cherry - al di là
di qualche intervento alla pocket trumpet - dalla logica
e dall'estetica del jazz, a favore di un radicale, visiona-
rio, sognante neofolclore universalistico, multicultura-
le che anticipa prepotentemente la world music dei de-
cenni successivi: e poca della world music che ha poi
praticato l'incontro di culture diverse lo ha fatto con
la poesia e la limpidezza che rendono questa musica -
che rappresenta meravigliosamente un'epoca - ancora
così attuale.
Lucianone
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