(da il venerdì di Repubblica - 31 marzo '17 -
Marco Cicala / Madrid)
Una strage di civili. Un genio in crisi
che nello shock ritrova l'ispirazione.,
Un mese di lavoro folle. Le polemiche,
la guerra, la "fuga" negli Usa, il ritorno
in Europa. Viaggio in un dipinto che 80
anni fa cambiava la storia dell'arte, ma
che all'inizio fu stroncato persino da si-
nistra. Una tela ancora avvolta da leg-
gende e segreti. A cominciare da quello
di una misteriosa scatoletta con dentro
una lacrima rossa.
COPPIE, SCOLARESCHE, GRUPPI VACANZA,
o gli ormai ineludibili hipster con barbetta e occhiali
spessi: al Museo Reina Sofia c'è sempre un mucchio
di gente più o meno venerante accampata davanti a
Guernica, Ma viene da chiedersi se oggi, in tempi di
massacri banalizzati, la strage che ispirò quel dipin-
to in ogni senso enorme avrebbe lo stesso impatto
emotivo di allora, cioè ottant'anni fa.
Nel pomeriggio del 26 aprile 1937, col grazioso con-
tributo dell'aviazione mussoliniana, gli Heinkel e gli
Junkers di Hitler sganciarono sull'antica capitale ba-
sca di Guernica fra trenta e quaranta tonnellate di
bombe, incendiarie o a scheggia. Era un lunedì, gior-
no di mercato. Gli abitanti stavano riemergendo dal-
la siesta quando insieme agli animali - asini, maiali,
galline - si ritrovarono ingoiati da un tornado di fuoco.
Dopo tre ore di martellamento dal cielo, della città non
rimaneva che la carcassa. I morti furono 1.654, i feriti
quasi novecento. Benchè ospitasse qualche impianto
per la fabbricazione di armamenti. Guernica - in basco
Gernika - non rappresentava uno snodo strategico.
Arrostendo i civili, l'incursione non aveva altro obietti-
vo che quello terroristico di stroncare il morale tra le
forze repubblicane. Per quanto le grandi potenze aves-
sero già testato certi metodi nei territori coloniali, si
trattava del primo bombardamento a tappeto sul suo-
lo europeo. Più tardi, sconfessando le fanfaluche fran-
chiste che addossavano l'ecatombe ai "rossi", Herman
Gòering avrebbe definito Guernica un "laboratorio".
Era la prova su strada dei nubifragi di bombe che si
sarebbero abbattuti su Varsavia, Rotterdam, Coven-
try, ma nche sulle città tedesche, fino al gran finale
di Hiroshima e Nagasaki.
Pablo Picasso, che all'epoca aveva 55 anni e risiedeva
a Parigi da una trentina, apprese dell'inferno di Guer-
nica mentre sedeva ai tavolini del Cafè Flore. Leggen-
done i dettagliati resoconti sulla Stampa, ma soprat-
tutto ma soprattutto vedendone le foto, la carneficina
si incise in lui come un trauma. Per uno di quei para-
dossi di cui la storia dell'arte straripa, la voragine di
umanità e di vita che la ferocia nazifascista aveva
scavato nel cuore dei Paesi Baschi colmò improvvisa-
mente il vuoto creativo nel quale Picasso si dibatteva
da mesi. Le autorità repubblicane gli avevano com-
missionato un grande murale da esporre nel padi-
glione spagnolo dell'Expo parigina che si sarebbe
inaugurata alla fine di giugno. Ma la data di con-
segna si avvicinava e l'ispirazione di Picasso - chia-
miamola così - era in panne. Oltre che sul suo con-
clamato genio gli antifranchisti puntavano sul suo
prestigio. Anche se a partire dal secondo Dopo-
guerra lo sarebbe diventato molto di più, il mala-
gueno era già un artista leggendario. Peccato che
non avesse mai accettato di lavorare su ordinazio-
ne e che fino a quel momento le sue posizioni po-
litiche non si fossero mai arrischiate oltre un ge-
nerico anarchismo bohèmien. In linea con l'alte-
roro disimpegno del verbo modernista, il Picasso
del cubismo proclamava che il fine dell'arte non
è "bè il bene nè il male, nè l'utile nè l'inutile" e
che la pittura "è dipingere e nient'altro". Ma
dall'epoca di quelle sentenze la temperie cultu-
rale europea era molto cambiata. E allo scop-
pio della guerra civile l'atteggiamento di Pi-
casso muta: lo sdegno verso il golpe fascista si
fonde con la nostalgia della Spagna che è affio-
rata in lui negli ultimi anni parigini. D'impul-
so, con le bombe che a Madrid minacciano or-
mai anche il museo, Picasso acconsente a veni-
re nominato direttore del Prado. Un incarico
che ricoprirà in forma virtuale, senza mai
muoversi dalla Francia. E tuttavia non siamo
ancora a un pieno engagement. Sebbene ab-
bia deciso da che parte schierarsi, P. Picasso
continua ad avvitarsi in tortuose ruminazio-
ni, evita di esporsi politicamente, al punto
che la propaganda nemica mette in giro la
voce che simpatizzi segretamente per i na-
zionalisti.
E' questo l'uomo sotto pressione che tra indugi e ri-
luttanze finisce per accettare anche allettato dalla
gratificazione economica, circa duecentomila fran-
chi - la commessa governativa per l'Esposizione
Internazionale. Picasso accetta, però per mesi cin-
cischia, esita, non sa da che parte cominciare. Nel
gennaio del '37 realizza una serie di acqueforti in-
titolate Sogno e menzogna di Franco (ma il gioco
di parole si coglie solo in francese: Songe et men-
songe de Franco). A metà tra le strisce dei moder-
ni comics e le aleluyas, le incisioni popolari della
tradizione religiosa barocca, sono immagini grot-
tesche che sbeffeggiano la figura e l'antropiologia
guerriera del futuro Caudillo.
ll piacere di raccontare
CONTINUA...
to be continued...
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