venerdì 23 febbraio 2018

Cultura - Il personaggio horror: Charles Manson

23 febbraio '18 - venerdì                    visione post - 99

(da la Repubblica - 21 / 11 / '17 - di Vittorio Zucconi)
Lo chiamarono  "Satana", ma Charles Manson  era
soltanto un demente, colui che chiuse nel sangue il 
decennio del sangue, gli anni '60 in America. Con la
mattanza di sette innocenti, più  il feto  di otto mesi
che la stupenda attrice Sharon Tate portava nel ven-
tre, sbudellati  in un'orgia di atrocità  consumata in
due notti d'agosto dalle sue erinni strafatte e dai suoi
seguaci, questo ometto di appena un metro e cinquan-
ta, figlio di nessuno e assassino di molti segnò un tem-
po che aveva sognato  nei fiori  e  si sarebbe suicidato 
nella violenza. L'atto  finale  di  una  lunga  tragedia 
americana, aperta  dall'assassinio  di  Kennedy   nel 
1963, continuata negli omicidi di Martin Luther King 
e di Malcolm X, trasportata fino ai campi della morte
indocinesi dove  58mila  giovani soldati  e milioni di  
vietnamiti sarebbero morti non avrebbe potuto che 
andare in scena nel mondo dello show business, del
cinema, della musica, dell'immaginazione, fra Hol-
lywood e l'Oceano Pacifico, a Beverly Hills.
Tutto, nel film dell'orrore che Manson  e la sua "fa-
miglia", come lui definiva  l'accozzaglia  di sbanda-
ti, di scappate di casa, di profughi  della Grande Il-
lusione Hippy, dei fiori e dell'acido, parla il linguag-
gio del cinema, l'eterna, feroce musa che attira ver-
so quelle colline attorno a Los Angeles tutto ciò ro-
tola verso l'Ovest.  Il ranch dove aveva raccolto  le
sue schiave  e  i suoi  pochi zombie  maschi era un 
set di film  Western abbandonato, appartenente a 
un ottantenne, George Spahn, che aveva accettato 
di ospitare Manson  e  i suoi seguaci  in cambio di 
un pò di manutenzione dei ruderi e di cura dei ca-
valli affittati ai rari visitatori.    E di qualche servi-
zietto delle ragazze che il Guru maligno metteva a 
sua disposizione.   Come  Lynette Fromme, che si 
era guadagnata  il nomignolo di "Squeaky",   per-
chè squittiva ogni volta che il vecchio le pizzicava
le cosce.  Nel 1975 sarebbe divenuta  celebre  per 
avere sparato, senza colpirlo,  al  presidente  Ge-
rald Ford, conquistandosi il carcere dove ancora
oggi vegeta.

Charles Manson nel 2014
Il cinema era naturalmente il mondo dove
Sharon Tate, l'incantevole moglie del regi-
sta Roman Polanski  e attrice di non ecce-
zionale talento, viveva, in quella villa di Bel
Air, il meglio di Beverly Hills, ed era la sera
del 9 agosto 1969  quando  le  tre  ragazze e
l'uomo incaricati  da Manson di compiere il
massacro rituale dei "Pigs", dei porci, la tro-
varono, insieme  con  un parrucchiere  delle
dive, uno sceneggiatore amico di Polanski e
la moglie, una ricchissima ereditiera  e  il fi-
glio del giaediniere, un ragazzo  di  18  anni 
che  stava lasciando  la casa.   Polanski  era 
lontano, in Europa, per promuovere  il suo 
film più celebre  "Rosemary's Baby"  e  la 
mattanza fu facile per quei quattro cavalie-
ri di morte. con la  "calibro 22"  che   sarà
trovata  giorni dopo, con i coltelli, uno dei 
quali sarebbe stato recuperato  dagli  inve
stigatori, infierendo sui vivi  e  sui loro ca-
daveri, torturandoli, sventrando Sharon e
la sua creatura. La Tate, che si era offerta
come ostaggio  per salvare la vita degli al-
tri, morì sotto quindici coltellate, mormo-
rando "Mother... mother...". Il suo sangue
fu usato per scrivere "Pig", maiale, sulla
porta di casa  per lasciare   "un segno da 
streghe", come Manson aveva ordinato.
Era la realizzazione  di quel progetto di 
"Helter Skelter",  di caos,  che  Charles 
Manson diceva  di avere scoperto  nelle  
liriche, nei suoni violenti,  nel rock inu-
suale  del pezzo  che  Paul  McCartney 
aveva scritto per i Beatles, perchè anche 
la musica, come il cinema,  avvolgevano
la sua follia. Aveva conosciuto, frequen-
tato e inciso con il batterista degli allora
adorati Beach Boys, Dennis Wilson, per 
il quale aveva scritto un pezzo, "Non di-
simparare mai ad amare", ma il suo pro-
getto politico era scatenare la guerra dei
bianchi contro i neri, di eliminare  i  più
deboli per meglio distruggere gli afro a-
mericani, nel segno del suo neonazismo
che avrebbe inciso  con  la punta  di un 
coltello sulla fronte, nel segno della sva-
stica.  
Nel bis offerto la sera successiva, il 10
agosto, di nuovo la strana allusione al
cinema sarebbe tornata, in una coinci-
denza che avrebbe più tardi solleticato
l'immancabile "complottismo" genera-
to da ogni delitto sensazionale. 

Lucianone

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