domenica 13 aprile 2014

Cultura - Intervista / Alla scrittrice Nadine Gordimer

"Sono malata e combatto           visione post - 50
ma dico addio al romanzo",
dice la scrittrice sudafricana, premio Nobel.
Dalla rivelazione sulla sua nuova vita "senza
più forza" al legame stretto con l'Italia. 
"Continuerò a girare il mondo viaggiando
con la fantasia".

(da 'la Repubblica'  -  20 marzo 2014  -  R2Cultura /
Pietro Veronese)
La voce di Nadina Gordimer arriva distinta da
Johannesburg, all'altro capo dell'Africa. Come
sempre, è lei stessa a rispondere al telefono.
Questa volta, però, è più flebile. A differenza
dalle precedenti, faccio un pò fatica a capirla.
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Pietro Veronese: "Se vuole posso chiamare in un
altro momento".
Nadine Gordimer - 'Ma no, una volta vale l'altra'
P. Veronese: "Sono contento di sentirla per l'uscita
italiana dei suoi 'Racconti di una vita', una raccolta 
di storie scritte tra il 1952 e il 2007, tradotte da Gra-
zia Gatti e pubblicate come sempre da Feltrinelli.
L'ultima volta che l'avevo intervistata, due anni fa, 
lo scrittore americano Philiph Roth aveva appena
annunciato la sua decisione di non scrivere più fic-
tion. Così le avevo chiesto se lei avesse intenzioni
analoghe...".
N. Gordimer - 'Ma io non sono Philiph Roth!'.
P. Veronese: "Lo so, lo vedo bene. A novant'annni
sta dunque lavorando a un nuovo romanzo?".
N. Gordimer - 'Non so, non credo... Forse un paio
di racconti.  Non  ho più  l'energia, scrivere  mi fa
star male  e  sono  troppo critica, troppo esigente 
verso il mio lavoro, non credo che accetterei qual-
cosa che non mi soddisfa".
P. Veronese: "Perchè dice che scrivere la fa star 
male? Le causa troppa fatica?".
N. Gordimer - 'Ma no, ho male nel mio corpo. Sono
ammalata'.
P. Veronese: "Mi scusi, non avevo capito".
N. Gordimer - 'Ho un cancro al pancreas'.
P. Veronese: "Mi dispiace, non sapevo...".
N. Gordimer - '... E mi procura molto dolore. Non si
dispiaccia, quando  ho scritto  il mio ultimo romanzo
non lo avevo, non era ancora incominciato, e quello
che ho scritto  non ha nulla a che vedere con la ma-
lattia La mia energia era immutata, e anche la mia 
attività intellettuale.  Guardavo  alla vita  come ho 
sempre fatto'.
P. Veronese: "Mi dica lei se vuole andare avanti...".
N. Gordimer - 'Parliamo piuttosto dell'Italia e della
mia fortuna di avere nel vostro Paese un editore  e 
dei traduttori così meravigliosi. I miei libri sono tra-
dotti   in più di quaranta lingue, 42  o  43 direi, e  la 
prima è stata l'italiano, grazie a  Giangiacomo. Fel-
trinelli. Da allora il mio rapporto con l'Italia è sem-
pre stato molto forte, a cominciare  dalla  famiglia
Feltrinelli: Giangiacomo, e naturalmente Inge, che
è diventata una mia grande amica. Abbiamo passato 
bei momenti insieme., è venuta anche a trovarmi qui
e poi ci siamo incontrate in Francia...   E Carlo che
conosco da quando era un bambino piccolo. Gli so-
no molto affezionata. E poi, come sa, ho mia figlia 
Oriane che vive in Piemonte  e  insegna a Torino. 
L'Italia è il mio Paese preferito".
Nadine Gordimer

P. Veronese: "Quando è venuta l'ultima volta?".
N. Gordimer - 'Un paio di anni fa.  Adesso non posso
più affrontare viaggi lunghi. Ma ho visto il mondo, e
le persone.  E si può  viaggiare  anche leggendo, sia
nello spazio che nel tempo. E' questa la meraviglia
della lettura: consente  un'esperienza  del mondo e 
di molte, molte vite. Ci informa: i romanzi e la poe-
sia ci fanno conoscere lo spirito umano".
P. Veronese: "La meraviglia di cui parla ha bisogno
di essere vissuta da chi scrive? O è sempre possibile, 
come a Jane Austen, descrivere perfettamente l'ani-
mo altrui pur con una conoscenza relativamente li-
mitata del mondo?".
N. Gordimer - 'Certo, una qualche esperienza ci deve
essere. Ma poi noi scrittori ubbiamo una strana capa-
cità di entrare nella vita degli altri. Una capacità em-
patica. E' una dote  che abbiamo  in maggior misura
di altri, di chi  non è scrittore.  Qualcosa che non so 
spiegare.  Sappiamo avventurarci in territori scono-
sciuti. Come nel mio ultimo romanzo, Ora o mai più,
pubblicato due anni fa - un titolo che voleva signifi-
care che ogni tempo è unico - , cerchiamo di fare uso
della nostra capacità di penetrare la distanza. Di rag-
giungere universi che stanno oltre il mondo di cui di-
sponiamo. Attraverso la lettura riusciamo a sapere di
più, a trovare il senso dadare alla nostra vita".
P. Veronese: " Perdoni la domanda, ma quello che ha
appena detto mi spinge a chiederle se lei è credente".
N. Gordimer - 'Se credo in Dio? No, non sono creden-
te. Non posso pensare che la mia moralità, il modo in
cui mi comporto nei confronti degli altri, sia dettata
da qualcuno che se ne sta seduto lassù. Quando sba-
gliamo, quando ci comportiamo male, possiamo bia-
simare soltanto noi stessi. Chiamare in ballo un Dio?
No... E quando succede un incidente, una catastrofe,
e io me la scampo, come si fa a dire "Dio mi ha salva-
to? Come posso credere in un Dio che sceglie me e la-
scia morire un altro?".

P. Veronese: "L'ultima sua intervista al nostro giornale
risale  al dicembre scorso  all'indomani  della morte  di 
Nelson Mandela  (un Premio Nobel sudafricano  come
lei, lui per la Pace, lei per la Letteratura). "Siamo stati 
fortunati", lei disse  "ad averlo avuto con noi, ad aver 
visto una persona così  camminare  sulla nostra stessa
terra". Da allora sono passati tre mesi: com'è adesso,
senza di lui?".
N. Gordimer - Mandela è sempre con noi.   Durante la 
sua vita fu allontanato  da noi per 27 anni, gli anni in
cui fu imprigionato.   Ma anche allora rimase sempre
in mezzo a noi.  Il suo modo  di affrontare  il mondo,
di mettersi in rapporto, giungeva fino a noi.  Aveva
una personalità tale, che non era possibile rinchiu-
derla dietro le sbarre. Ogni volta che cìera una deci-
sione  da prendere, una scelta da fare, ci chiedevamo:
lui che ne pensa? Lui che farebbe?  Così era sempre 
tra di noi. Ogni cosa che ha fatto nella sua vita l'ha
fatta per noi, la sua gente, il suo Paese. Era un afri-
cano dalla pelle nera, e lo era fino in fondo, ma non
aveva alcun pregiudizio, che l'altro fosse nero, bian-
co o di un altro colore. Credo che molti neri sudafri-
cani - e lo dico anche se so che questa mia convinzio-
ne può  apparire discutibile - nutrano più pregiudizi
verso gli indiani che verso i bianchi. Ma mandela no,
amava i suoi compagni  e  i suoi amici indiani come
gli altri. Credeva profondamente nel valore della di-
gnità umana  e  nel diritto di ciascuno a una buona 
esistenza.     Lui, sì, era cristiano, anche se nessuno 
può dire  in che misura  questo influenzasse  il suo
modo di pensare".
P. Veronese: "Forse possiamo concludere qui, non
voglio che si stanchi".
N. Gordimer - 'Niente affatto. Mi lasci ancora sot-
tolineare il mio interesse per tutto ciò che riguarda
l'Italia. Voi italiani avete uno spirito indipendente,
avete compiuto tantissime imprese. Siete un Paese
con una storia meravigliosa, e vi auguro che con-
tinui così nel presente".


Lucianone

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