martedì 31 agosto 2021

CULTURA - I Grandi miti / scrittori - Professione Hemingway

 31 agosto '21 / martedì                visione post - 17

(da 'Il venerdì' di Repubblica - 5 luglio 2019 / di Marco Cicala)


MR. PAPA DOLOR Y GLORIA

Qualche anno fa, in un albergo di Siviglia, rilessi all'anziano
matador de toros Jaime Ostos quanto Ernest Hemingway 
aveva scritto su di lui vedendolo in azione nell'arena a metà
del secolo precedente: "Jaime Ostos mostrò lo stesso co-
raggio dei cinghiali delle Sierras della sua regione. Come il
cinghiale, dava prova di un'audacia quasi folle e rischiava
sempre più grosso fino a sembrare uno che vuole suicidar-
si".  Riascoltando quelle parole, Ostos minimizzava lusin-
gato, col suo ghigno da cinghiale.
Ostos commentò: "Hemingway era una cara persona, un
sentimentale. Beveva molto. Faceva colazione con una 
bottiglia di vino e due croissant.  Come scrittore non si
sentiva capito. Diceva: forse non riesco più a esprimer-
mi, ma io continuo a scrivere le cose  come le sento  e
non posso che andare avanti cosi'".
Incompreso Hemingway? L'uomo del Nobel e del Pulitzer?
Dei bestseller globali? Si', il vecchio torero ricordava be-
ne. Perchè "Ernie" appartiene  ormai alla riserva protetta
dei classici, ma per tutta la vita venne incornato dalla cri-
tica. nei romanzi e ancora più nei racconti, aveva scarce-
rato la prosa inglese dall'eloquenza, dall'enfasi, dal fron-
zolo vittoriano, però - a giudizio dei suoi detrattori - si
era lasciato imprigionare  troppo presto in uno stile da 
duro che rasentava l'autoparodia involontaria. Mr. Papa
incassava quegli attacchi malissimo  e già  alla fine de-
gli anni Trenta denunciava i sintomi paranoidi della sin-
drome da accerchiamento: "Mi odiano, vogliono farmi
fuori" si legge in una lettera.
Lo scontro più celebre, se non altro perchè fisico, con
un critico ebbe luogo a New York nell'agosto '37. Pri-
ma di ripartire come reporter per la guerra di Spagna, 
Hemingway incrocia neglu uffici dell'editore Scribner
un tizio col quale ha un conto in sospeso.  Si chiama
Max Eastman, è il giornalista che dalle colonne della 
rivista progressista New Republic ha malmenato il suo
"trattato" sulla tauromachia Morte nel pomeriggio sfot-
tendone  soprattutto  il machismo: la boria, ha scritto, 
"di chi si appiccica peli finti sul petto".    L'ego virile
sanguinante, "Hem" se l'è legato al dito. Nei locali del-
la Scribner lo vedono afferrare un libro e scagliarlo in
faccia al recensore. I due si avvinghiano, rotsul pavi-
mento rovesciando scrivanie. Seppur con gli occhiali
rotti, Ernest - che è più grosso e pratica il pugilato -
sta per avere la meglio, ma si trattiene. Li separano.
I duellanti si ricompongono bofonchiando parole di
scusa. Sotto lo sguardo impietrito del grande editor
Max perkins, la bagarre si chiude lì. Ma il livore an-
tiHemingway avrà vita lunga, cristallizzandosi in un
pregiudizio che, oggi, nell'impero del politicamente
corretto, rischia di trovare nuova linfa.
Macho col sorrisetto sghembo alla Clark Gable, ro-
busto amatore e bevitore, fanatico di corride, pesca-
tore nei Caraibi, cacciatore in Africa...  A 120 anni
dalla nascita - 21 luglio 1899 - è di quell'Hemingway
poseur che tornano a parlarci molte tra le foto, alcu-
ne inedite, raccolte nel sontuoso volume mondado-
riano Hemingway. L'uomo e il mito.  Ecco, appunto:
il mito. "Io non lo sopporto. E' semlicistico, limitan-
te, stupido. Il vero Hemingway era una personalità
complessa, ricca di sfumature. Era affettuoso, crude-
le, una brava persona e un bastardo, un tipo insicuro,
spaventato dalla vecchiaia e dalla morte. Certo, la
responsabilità di aver creato il mito fu in parte an-
che sua.  Commise l'errore  nel quale  incappano
spesso i "famosi": quello di pensare di poter con-
trollare il proprio mito. Ma non funziona così: il
mito assume una vita propria". Ed è lui a control-
lare te.  Parola di Michael Katakis. Oltre che cu-
ratore dell'album ora tradotto in italiano, è il si-
gnore a cui gli eredi hanno affidato l'onere gra-
voso e invidiabile di gestire i diritti mondiali
di Hemingway. Buttali via.   Katakis vigila e
 tratta non solo sui libri di Mr- Papa ma pure
sulla massa di cimeli oggi custoditi alla John
Fitzgerald Kennedy Library di Boston. Lette-
re, telegrammi (tra i quali uno in cui l'ancora
senatore JFK chiede a Ernest di chiarirgli il
concetto di "coraggio"), plichi "top secret"
dei servizi militari di intelligence sotto Ei-
senhower e poi assegni, sconttini di librerie,
biglietti di aerei, treni, navi... Più una marea
di foto: undicimila.  Hemingway è stato lo
scrittore più fotografato del Novecento. Ma
che rapporto aveva con la propria immagine?
"La curava molto" risponde Katakis. "Oltretut-
to aveva la fortuna di essere totogenico. Ha
presente le famose foto realizzate a Sun Valley,
Idaho, nelle quali lo vediamo con i figli o con 
Gary Cooper? Sono sbalorditive, alcune ven-
nero scattate da Robert Capa. Ma Patrick, il 
secondogenito di H., mi ha confessato che
erano costruite  a tavolino per promuovere
quella località.  Succedeva spesso che al pa-
dre offrissero alloggio gratis e altri vantaggi
per usare la sua faccia a scopi pubblicitari".
Questa di Hemingway cripto-testimonial ci 
mancava.
Il narcisismo "mediatico" di 
Ernest era cominciato molto presto. Prendi
quello scatto celeberrimo che a Parigi, da 
giovane, lo ritrae insieme a Sylvia Beach 
davanti alla libreria Shakespeare and Com-
pany: Hemingway sogghigna spavaldo 
con la testa fasciata da una benda delle
dimensioni di un turbante.    Che gli è
successo? Niente di speciale. Una notte
che era sbronzo si è alzato per andare al
gabinetto, ma al buio ha scambiato la ca-
tenella dello sciaquone con quella della 
e tirando di strappo s'è fatto crollare la
plafoneria sulla zucca. E il giorno dopo
eccolo lì che sfoggia la cicatrice nem- 
meno fosse una ferita di guerra.
Civetterie di un esibizionista feroce, ma
anche di uno che, fondendo esperienze 
vissute e scrittura, aveva deciso di sca-
raventare in quell'impresa tutto se stesso,
a cominciare dal proprio corpo. E, dalle
220 schegge di mortaio austriaco che a
diciott'anni s'era beccato nelle gambe
mentre faceva l'ambulanziere sul fronte 
italiano ai terribili incidenti aerei durante 
il viaggio africano del '54 dal quale rientrò
mezzo cieco e sordo, con cranio ustionato, 
fegato e rene stritolati, fratture multiple al-
la spina dorsale, quello di Hemingway fu
- in vita - il corpo più martoriato nella storia
della letteratura.

Continua...
to be continued...

venerdì 16 aprile 2021

Scrittori - William Faulkner: il razzista innocente

 venerdì, 16 aprile 2021  -  visione post - 16

(da LA LETTURA/ Corriere della Sera - 6 dic. 2020 -
di Costanza Rizzacasa D'Orsogna)

Il saggista Michael Gorra difende il valore dello
scrittore che nel 1949 vinse il Nobel, oggi accu-
sato di avere dato voce al Sud schiavista: "I suoi 
limiti sono una versione dei nostri". E infatti anche 
l'afroamericana Toni Morrison lo ammirava.

Toni Morrison , che gli aveva dedicato la tesi del Master in 
letteratura americana, ne ammirava l'implacabilità nell'inda-
gare il passato. "Leggo William Faulkner per conoscere gli
Stati Uniti - in un modo che i libri di storia non permettono
di fare". Nel 2016, commentando la vittoria di Trump, os-
servò che Faulkner aveva capito meglio di chiunque altro 
come la perdita dei propri privilegi  apparisse  ai bianchi
"così spaventosa da precipitarsi verso una piattaforma po-
litica che promuove la violenza sugli indifesi". Oggi Faul-
kner, come altri (Ma quant'era razzista Flannery O'Connor?,
titolava il "New Yorker" pochi mesi fa), lo si vorrebbe can-
cellare.  Uno dei più grandi scrittori americani, Nobel per
la letteratura nel '49, è diventato scomodo  e va perciò ri-
mosso dalle letture consigliate a scuola e all'università.
L'accusa? Non aver rinnegato il razzismo di sistema. Ma
è giusto Faulkner, nato nel Mississippi del 1897 e vissu-
to durante la segregazione, con la sensibilità odierna? E'
giusto condannarlo se l'America stessa, cent'anni dopo, 
con quel razzismo stenta ancora a fared i conti?   UN
saggio di Michael Gorra, studioso di Faulkner e docen-
te di letteratura americana allo Smith College (The Sad-
dest Words: William Faulkner's Civil War), prende le di-
fese dell'autore, dimostrando che se Faulkner non potè
sfuggire  alle aberrazioni  del suo tempo, ne fu sempre 
tormentato, e nei suoi libri riuscì a emanciparsene.

Parte biografia letteraria, parte rievocazione storica, 
The Saddest Words rilegge Faulkner attraverso la
Guerra Civile (1861-65), "la guerra infinita", che
Faulkner raccontò in 19 romanzi e oltre cento rac-
conti. Un lavoro che, nelle parole di Morrison, è il
risultato  del rifiuto  dell'autore   di distogliere  lo
sguardo dal terribile lascito della propria terra. At-
traverso la continua rivisitazione di storie e perso.
naggi sella fittizia contea di Yoknapatawpha, pre-
quel, sequel e spinoff, Faulkner racconta il Sud,
dalle piantagioni di cotone  al  mito  della  Lost
Cause (la causa persa della Guerra Civile), e le
sue scioccanti verità. Nel farlo, racconta l'Ame-
rica. -  Vero, Faulkner può apparire offensivo,
Il linguaggio razzista permea i suoi romanzi, Ma
non perchè Faulkner fosse razzista (e lo era, co-
me lo sarebbestato allora, qualunque pronipote
di un colonnello schiavista dei Confederati),
quanto perchè, osserva Gorra, voleva riportare
fedelmente  il linguaggio  abominevole  della 
cultura bianca.  Altra obiezione spesso mossa
a Faulkner è come possano i suoi libri essere
considerati  grandi romanzi  sul razzismo  se 
non hanno protagonisti neri. Lo sono perchè, come
scriverà James Baldwin,  "la condizione del negro
in America è una forma di follia che copisce i bian-
chi". E nessuno ha raccontato quella follia meglio
di Faulkner. Come avrebbe potuto, del resto, Faul-
kner, sapere che cosa volesse dire essere nero? La
sua grandezza sta nel raccontare  le vergogne  dei 
bianchi. Vero, mancano le frustate, la separazione 
delle famiglie che la vendita di schiavi comportava;
i neri di Faulkner, pur molto diversi dalle caricatu-
re di tanta letteratura bianca del Sud dell'epoca, so-
no bidimensionali. Al contempo i suoi racconti de-
gli schiavi che fuggono vrso la libertà non hanno
eguali e anticipano la storiografia moderna.
Faulkner non è un apologeta del Vecchio Sud.
Forse, il racconto più potente che Faulkner fa
della Guerra Civile si trova in Assalonne, Assa-
lonne (1936). Dove l'incesto è meno tabù, per
una famiglia dell'alta borghesia del Sud, di quel-
la goccia di sangue nero  che infangherebbe  il
proprio lignaggio. "Non è l'incesto che trovi in-
tollerabile - dice Charles Bon a Henry Sutpen
prima che questi lo uccida - è l'incrocio di razze".
  Non che le idee di Faulkner non fossero proble-
matiche. Certe sue dichiarazioni  in  termini  di 
giustizia e progresso spociale erano sconcertanti.
In un'intervista del 1956  affermò  che se il Sud
fosse stato costretto a integrarsi, sarebbe sceso
in strada col fucile e non avrebbe esitato ad am-
mazzare dei neri (parole pronunciate, pare, in
stato di ubriachezza, e poi smentite). E se da un
lato condannava i linciaggi, chiedeva che il mo-
vimento per i diritti civili procedesse senza l'ur-
genza auspicata da Martin Luther King, per per-
mettere la "salvezza morale" del Sud. Fu Baldwin
a rispondergli, osservando che quella salvezza sa-
rebbe stata possibile solo a costo di posticipare la
giustizia per i neri, cosa non più concepibile.
 Recensendo il saggio di Gorra per l'"Atlantic", 
Drew Gilpin Faust, presidente emerita dell'Uni-
versità di Harvard e autrice di un importante testo
sulla Guerra civile (This Republic of Suffering:
Death and the American Civil War), ricorda che
Assalonne, Assalonne! uscì lo stesso anno di Via
col Vento, con ben altre fortune. "Furono i chiari
di luna e le magnolie di Via col Vento ad attirare
il plauso del pubblico - nota - e non il ritratto bru-
ciante dell'eredità della schiavitù fatto da Faulkner.
Margaret Mitchell, non Faulkner, vinse il Pulitzer".

I Confederati come eroi, la schiavitù come istituzione
necessaria e benigna: era questa la visione del tempo.
ma è soprattutto per le sue mancanze, non a dispetto 
di esse, che dobbiamo coninuare a leggere Faulkner.
"L'idea di cancellare Faulkner - spiega Gorra a "la
Lettura" - si fonda sulla convinzione che nelle stesse
circostanze saremmo stati migliori. Ma i suoi liniti
sono una versione dei nostri, prodotto ed emblema 
di un passato che ha formato generazioni di ameri-
cani. Faulkner non avrebbe potuto capire la società
del tempo se non ne avesse fatto parte, e la sua ri-
pugnanza, per quel mondo e per sè stesso, è visce-
rale e fortissima".



Lucianone